Palle cinesi – la mia autobiografia 11 Capitolo

Nel 2004, ho scritto la mia auotobiografia. L’intenzione era quella di parlare delle tante esperienze sul palco, e di tutto ciò che ruota attorno al mondo della musica, ma scrivendolo mi sono accorto di avere molti argomenti della mia vita privata che avrebbero potuto interessare alle persone che mi seguono ed ho voluto condividerli con loro.

“Palle cinesi”, così si chiama il libro (Allori ed.) parla della mia vita e delle mie esperienze da quando ero bambino fino a quando ho fondato la band.

Per ragioni di privacy alcuni nomi sono stati cambiati con nomi di fantasia.

“Conosco e sono amico di Titta da tempo. Con lui e la sua musica ho passato tanti momenti piacevoli da arrivare egoisticamente a considerarlo un menestrello quasi privato,come se cantasse solo per me e si dedicasse solo al mio divertimento. Mai però avrei pensato che la sua sfrontatezza e la voglia di mettersi a nudo l’avrebbe portato a regalarci la storia della sua vita. Una storia di piccole storie,di gente comune lontana dal passaggio dei grandi eventi.Una vera e propria autobiografia. Simpatica e gradevole. Densa di episodi vissuti,ricordi semplici e forse apparentemente insignificanti, ma veri,come vero e pieno è il suo bisogno di mettersi alla prova e di vivere esperienze sempre nuove. Raccontare di sè è un momento importante,una dichiarazione dei propri sentimenti e stati d’animo che serve a capire meglio se stessi e aiuta gli altri a comprenderci. Impone un lavoro di recupero e trasmissione della memoria,che significa entrare nell’intimo dei ricordi e del proprio vivere quotidiano. A costo di riportare a galla anche episodi dolorosi del proprio vissuto. E’ un segno di grande generosità e vi ritrovo appieno il Titta che conosco”.

(Enrico Laghi)

 

CAPITOLO 11

“Enzo di Napoli”

Avevo sistemato il discorso casa-lavoro, e rimaneva quello “amici” in quanto il corso di cinema, che era il motivo principale per cui mi ero trasferito a Roma, lo avrei cominciato a Settembre. Al momento non mi ero ancora iscritto in nessuna scuola. Durante la protesta studentesca della “Pantera” avevo conosciuto un ragazzo di Napoli che si chiamava Enzo.

Legai con lui e cominciammo ad uscire spesso insieme. Enzo frequentava la facoltà di psicologia , e mi fu molto utile perché mi procurò una tessera universitaria falsa, con la quale potevo entrare indisturbato nella mensa della facoltà , e fare un pasto completo con sole mille lire. In tutta la mia vita non ho mai conosciuto una persona così fissata per le donne. Si può dire che Enzo vivesse per loro. Ma la cosa più sorprendente è che lui riusciva ad avere tutte le ragazze che gli piacevano. Dico davvero! Ogni volta che diceva “Quella mi piace”, le si avvicinava tranquillamente con una faccia tosta incredibile, e con dei modi affabili , devo ammettere molto eleganti, iniziava a parlarle. Costei dopo poco sembrava letteralmente rapita e senza rendersene conto si ritrovava nel letto di casa sua.

Era un vero incantatore di donne. Certo non era un brutto ragazzo, ma imparai proprio vedendolo “all’opera”, che con molte ragazze basta toccare i tasti giusti, dire quello che vogliono sentirsi dire, ed il gioco è fatto. Una mattina, sull’autobus, Enzo cominciò a fissare una ragazza e mi sussurrò che gli piaceva da matti. Doveva assolutamente conoscerla quasi fosse in preda ad una crisi d’astinenza.  Le si avvicinò e quando vide che la ragazza stava per scendere , mi fece cenno che l’avrebbe seguita per conoscerla. Dopo un paio di giorni lo incontrai nel giardino della facoltà con la ragazza dell’autobus.

Poi una sera eravamo seduti sulla scalinata di Piazza di Spagna . Ad un certo punto mi disse che doveva andare in bagno, ed entrò nel fast food situato proprio di fronte alla piazza. Passarono dieci minuti ma Enzo non tornava. Aspettai ancora ma dopo venti minuti ancora non si vedeva . Allora mi recai verso il fast food per vedere come mai non veniva. Lo incontrai a metà strada. Mi disse che aveva conosciuto due ragazze americane, e che le aveva convinte a fare un giro con noi.  Durante la serata notavo che io, pur cavandomela abbastanza bene con l’inglese non riuscivo a legare con la ragazza che mi era stata “assegnata”, anche perché non mi piaceva gran che. La più bella spettava a lui. Era stato lui a conoscerle. Enzo pur non sapendo quasi neanche una parola d’inglese, riusciva a farsi capire benissimo e ridevano come due pazzi. Quello che mi bloccava, era che io per carattere ho sempre fatto fatica a conoscere le ragazze in quel modo. Non so come spiegarlo, ma era troppo evidente che eravamo lì solo per cercare di andarci. Era troppo chiaro che quello che dicevo era tutto finalizzato alla “conquista” della ragazza, per cui dentro di me mi ribellavo, e non riuscivo ad essere spontaneo. Mi sembrava tutto già scritto ed io sono molto più fatalista in fatto di donne.

Le ragazze con cui ero stato fino a quel momento le avevo conosciute casualmente e poi me ne ero innamorato. Non concepivo il fatto di dover a tutti costi conoscere un’estranea solo perché mi piaceva. Enzo invitava a cena una ragazza solo per il fatto che gli piaceva fisicamente, ma praticamente senza conoscerla. Lui ci provava e se questa accettava l’invito, praticamente era fatta. Ma io non ci riuscivo, mi sembrava tutto così finto,così forzato. E poi se dovessi invitare a cena una donna solo perché mi piace fisicamente, sarei tutti i giorni al ristorante!

Ad ogni modo portai avanti stancamente la conversazione, e lei certo non mi aiutava. Lasciava fare tutto a me e fu una cosa molto imbarazzante, anche perché come detto, non è che mi piacesse molto.  Ricordo che parlammo di musica e mi disse di essere molto amica del cantante di un gruppo punk americano, i Corrosion of Conformity che a me piacevano una casino. Ma la discussione non decollò mai, ed io ad un certo punto dissi ad Enzo che sarei andato a casa. E così anche in modo poco educato me ne andai. Lasciai Enzo, la ragazza americana, e l’amica a reggere il moccolo.  Il giorno seguente era domenica ed io ero d’accordo con Enzo che saremmo andati allo stadio a vedere Lazio – Napoli, ma dopo quell’imprevisto dell’ americana, non sapevo se avesse cambiato programma. Ad ogni modo andai a casa sua, per chiedergli che intenzioni aveva. E poi non sapevo come era finita la serata. Li avevo lasciati sulla scalinata di Piazza di Spagna e per quanto ne sapevo, Enzo poteva essere anche tornato a casa a “mani vuote”.  Ma appena entrai nel suo appartamento, manco a dirlo vidi la graziosa americana, che beatamente dormiva nel suo letto. Mi raccontò in breve come era andata, anche se ormai era tutto chiaro.

Dopo aver pranzato insieme andammo tutti e tre allo stadio.

Un’altra cosa che mi colpì di Enzo è che possedeva un’umanità incredibile. Una sera mentre stavamo rientrando, nei pressi della stazione vedemmo tue tipi che stavano litigando.  Capimmo che era un litigio fra tossici, anche perché uno dei due aveva una siringa in mano e minacciava l’altro dicendogli che lo avrebbe punto con l’ago, se questi non gli avesse ridato i soldi. Enzo si avvicinò ai due , ed io capii, anche se mi sembrava incredibile, che voleva cercare di dividerli- “Che cazzo fai!?? sei pazzo!? vieni via!”- gridai – Ma lui non mi dava retta. Cominciò a parlare con i due tossici, e voleva cercare di calmarli. Loro ovviamente gli risposero in malo modo e quello con la siringa disse : “ Fatti i cazzi tuoi piezz’e merda”. Ma Enzo non fece assolutamente cenno di allontanarsi, anzi appena udì che uno di loro aveva un accento marcatamente napoletano, si sentì più a suo agio e sentendolo un suo concittadino, continuò a parlare cercando di calmarli . E alla fine ci riuscì. Nella casa abitavo con altri ragazzi, ma non legai con nessuno dei tre.  Uno lavorava praticamente tutto il giorno. A L. quello di Tarquinia mancavano pochi esami e si stava per laureare, per cui pagava l’affitto ma non veniva quasi più a Roma. E. ,quello di Bari, praticamente lo odiavo.  Non che mi avesse fatto niente di male, ma quando si decise che eravamo noi i quattro a dividere l’appartamento, siccome avevamo il frigorifero in comune, appiccicò delle etichette con scritto il suo nome su tutto quello che gli apparteneva: bibite,formaggi,succo di pomodoro ecc. Chiaramente io il cibo me la comperavo e non avrei preso le sue cose. Ma quel gesto così freddo, come a prendere le distanze da tutti gli altri, mi fece piuttosto incazzare. Ad ogni modo per questi motivi cominciai a frequentare solamente Enzo.

Eravamo sempre insieme, e quando mi recavo alla mensa universitaria e conoscevo altri ragazzi dovevo mentire sul mio conto, e dire che anch’io frequentavo la facoltà di psicologia. Tutti erano abituati a vedermi e quindi non avrebbero creduto che io non ero uno studente della facoltà.  La sera, i primi tempi andavo spesso nel centro , poiché essendo a Roma da soli tre mesi volevo vedere e conoscere prima di tutto le zone più importanti. Mentre Enzo era nella Capitale già da due anni e conosceva alcuni posti un po’ fuori mano, ma molto interessanti. Uno di questi era un centro sociale. Per me era il massimo, perché io ascoltavo musica punk-rock e hard core, l’Heavy metal l’avevo lasciato agli anni ‘80 e quegli erano gli anni in cui i Bad Religion, i Green Day e molti altri gruppi suonavano nei centri sociali. Non c’era ancora stata l’ondata GRUNGE e il fenomeno Nirvana che se li tirò dietro un po’ tutti. Il primo concerto che vidi fu quello dei Fugazi, che avevo già visto due anni prima in un centro sociale di Bologna . Il posto era frequentato anche da Deda dei Sangue Misto , Alessio il bassista dei Casinò Royale, Papa Ricky, Gopher dei Sud Sound System e Neffa che allora era un rapper. Ricordo che ci portai una ragazza conosciuta in facoltà che si chiamava J. ed era di Perugia. A me piaceva molto e nella speranza di “combinare” qualcosa, qualche settimana prima avevo accettato di andare a vedere con lei il concerto di Nick Cave . Fu una palla indescrivibile, non vedevo l’ora che finisse, ma chiaramente le dissi che mi era piaciuto poiché avevo altri fini. Le dissi che volevo ricambiare l’invito portandola a vedere un concerto, ma uno di quelli tosti, con musicisti cazzuti e non dei fighetti come quelli che mi aveva portato a vedere lei.

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Appena entrati nel locale dove di lì a poco sarebbe cominciato il concerto,le dissi di assistere allo spettacolo in fondo, perché nei concerti punk ,le spiegai , la gente salta in continuazione, anzi molti salivano sul palco e poi si buttavano sulla gente, e quindi era il caso di rimanere dietro. Anche perchè lei era una ragazza graziosissima ed io volevo colpirla, ma non sconvolgerla. Pensai tra me e me che mi sarei avvicinato al palco a “pogare” solo verso la fine del concerto quando presumibilmente avrebbero suonato i loro pezzi migliori. Ma con mia grande sorpresa ed incredulità, attaccarono con la loro canzone più famosa, che in quel periodo ascoltavo tipo venti volte al giorno. E per me fu davvero troppo.Partii di corsa da dietro come fossi telecomandato e riuscii a penetrare con assoluta facilità grazie alla mia incredibile energia e voglia di ballare, in mezzo a circa trecento persone.

Cominciai a “pogare” come un pazzo per tutto il concerto, e non tornai più da J. che assistette al concerto da sola, ed ogni tanto vedeva anche me che mi buttavo dal palco. Un’altra esperienza, questa veramente incredibile, che ricordo di aver vissuto al centro sociale fu quando andammo a vedere il concerto dei “CCCCNCNC”. I “CCCCNCNC” erano un gruppo di Torino. Il loro nome era l‘acronimo della frase : “Chi c’è c’è, chi non c’è non c’è”. Quella sera ero con Enzo. Più che un concerto musicale, era una performance e fu qualcosa di veramente incredibile. Sul palco dove si sarebbero dovuti esibire, c’erano due grandi bidoni di lamiera. Quelli usati per il cherosene ,ed erano disposti ai lati del palco. Poi salirono loro. Erano in due e si diressero entrambi verso i bidoni, uno a destra ed uno a sinistra. A tutt’oggi ricordo benissimo gli sguardi straniti e disorientati degli spettatori, me compreso, alla vista dei due individui. Erano vestiti esattamente uguali. Erano a torso nudo, avevano i jeans e ai piedi portavano gli anfibi militari.  Ma la cosa inquietante è che indossavano dei cappucci neri, che gli coprivano interamente il volto e si vedevano solo gli occhi. Sembravano più adatti per un locale di destra, tanto che sentii qualcuno alle mie spalle che diceva :”Ma chi cazzo li ha chiamati questi!?”. Poi cominciò l’esibizione. Accesero due grosse torce,che piazzarono sul palco e cominciarono a battere con due grosse mazze, sui bidoni di latta. Continuarono a colpire il metallo per parecchio tempo, e le torce continuavano a bruciare. Fu chiaro a tutti che il loro intento era quello di attirare l’attenzione semplicemente usando quei bidoni come tamburi e senza dire assolutamente una parola. Neanche un ciao o un buonasera iniziale per rompere il ghiaccio. Continuarono a martellare sempre più forte ed ormai era passata più di mezz’ora , e le torce continuavano ad ardere sempre di più. Dopo circa quaranta minuti , tutto il pubblico era letteralmente ipnotizzato. E dopo altri dieci minuti successe quello che poi scoprimmo era il loro intento. Presero le due grandi torce e si diressero correndo in mezzo al pubblico urlando come ossessi, ed agitando il fuoco. Noi ormai ipnotizzati e rapiti da quello spettacolo veramente inquietante, appena ce li ritrovammo vicinissimi, cominciammo a scappare come pazzi! Ognuno scappò da una parte all’altra senza capirci niente e senza sapere dove andare.

Avevano creato una vera e propria scena di panico con il loro show . Ma era un panico reale, io urlavo come fossi in pericolo di vita e a tutt’oggi non ricordo di essermi preso più paura di quella volta in un’altra occasione.  Sembrava di vedere uno di quei film catastrofici, tipo” Indipendence day”, o “Godzilla”. La gente scappava in tutte le direzioni e morì di paura.

Come dicevo sia io che Enzo abitavamo nella zona della stazione, per cui era normale per noi frequentare quelle zone anche se erano malfamate. Ci intrattenevamo spesso nei giardini dove c’erano tossici, prostitute e barboni ma per noi significava comunque essere vicino casa, quindi in una zona familiare. Una sera ci recammo in un bar molto squallido,infimo, dove a servire c’era una vecchia viscida con dei baffi, un porro sulla guancia e le mani sempre sporche, ma dove avevano dei cornetti con la marmellata che erano qualcosa di eccezionale. Quella sera comunque trovammo chiuso,così uscimmo dai sottopassaggi ,e cercammo un bar sulla strada.

La prossima settimana il capitolo 12 

“Giuseppe il barbone”