Palle cinesi – La mia autobiografia 16 capitolo

Nel 2004, ho scritto la mia auotobiografia. L’intenzione era quella di parlare delle tante esperienze sul palco, e di tutto ciò che ruota attorno al mondo della musica, ma scrivendolo mi sono accorto di avere molti argomenti della mia vita privata che avrebbero potuto interessare alle persone che mi seguono ed ho voluto condividerli con loro.

“Palle cinesi”, così si chiama il libro (Allori ed.) parla della mia vita e delle mie esperienze da quando ero bambino fino a quando ho fondato la band.

Per ragioni di privacy alcuni nomi sono stati cambiati con nomi di fantasia.

“Conosco e sono amico di Titta da tempo. Con lui e la sua musica ho passato tanti momenti piacevoli da arrivare egoisticamente a considerarlo un menestrello quasi privato,come se cantasse solo per me e si dedicasse solo al mio divertimento. Mai però avrei pensato che la sua sfrontatezza e la voglia di mettersi a nudo l’avrebbe portato a regalarci la storia della sua vita. Una storia di piccole storie,di gente comune lontana dal passaggio dei grandi eventi.Una vera e propria autobiografia. Simpatica e gradevole. Densa di episodi vissuti,ricordi semplici e forse apparentemente insignificanti, ma veri,come vero e pieno è il suo bisogno di mettersi alla prova e di vivere esperienze sempre nuove. Raccontare di sè è un momento importante,una dichiarazione dei propri sentimenti e stati d’animo che serve a capire meglio se stessi e aiuta gli altri a comprenderci. Impone un lavoro di recupero e trasmissione della memoria,che significa entrare nell’intimo dei ricordi e del proprio vivere quotidiano. A costo di riportare a galla anche episodi dolorosi del proprio vissuto. E’ un segno di grande generosità e vi ritrovo appieno il Titta che conosco”.

(Enrico Laghi)

CAPITOLO 16

“La via degli innamorati”

La via degli innamorati, altro non era che un viale pedonale, lungo circa trecento metri. Era situato nella parte più alta del paese, e passava vicino alla chiesa. In entrambi i lati c’erano molti alberi e tutte boscaglie intorno. Per questo motivo era divenuta la strada degli innamorati. Era sufficiente avventurarsi nel verde circostante, e si poteva rimanere indisturbati per ore.

Io e Loredana ci dirigemmo quasi subito nel bosco. Avevamo una gran voglia di baciarci.
Non intendevo fare l’amore con lei, lì nel bosco e non su un letto come era più ovvio e normale, ma la passione era più forte di noi, così cominciammo a baciarci senza sapere fino a che punto saremmo arrivati. Eravamo in piedi e io ero appoggiato con la schiena ad un albero. La baciavo con più passione che potevo. Ormai ero molto innamorato di lei. Le accarezzai i seni mentre le baciavo il collo. Poi andai pian piano sempre più giù fino ad accarezzarle le cosce. Anche Loredana si stava eccitando molto. Me ne accorgevo perché ansimava molto più del solito. Così continuai ad allungare le mani sui suoi fianchi, sulla pancia, ed infine entrai tra le sue cosce.

Notai un po’ di irrigidimento da parte sua, come se avesse improvvisamente ripreso coscienza, poiché solo un secondo prima pareva in trance. Io non diedi importanza alla cosa e feci finta di niente. Non le feci capire che mi ero accorto del suo comportamento, e continuai. Ma lei ormai cambiando umore del tutto, con la sua mano fermò la mia, e mi disse che non era il caso di continuare. Io non ci rimasi male, ma a quel punto volevo una spiegazione.

Lei restò per alcuni minuti in silenzio e mi guardava come se volesse dirmi qualcosa di orribilmente brutto e segreto. Qualcosa che non aveva mai confessato a nessuno. Mi disse che quando era molto piccola, quando aveva 10 anni, venne violentata da un uomo che abitava nel paese, e che tuttora incontrava quasi ogni giorno quando andava a fare la spesa. Disse che non aveva detto niente a suo padre perché sennò lo avrebbe ammazzato. E lei non voleva che suo padre andasse in galera.

Avevo notato sfiorandole il sesso , nei giorni precedenti,quando ci eravamo conosciuti a Roma, che la sua vagina aveva uno strano rigonfiamento. Il pene di un uomo adulto penetrandola aveva evidentemente lasciato dei segni indelebili su quel corpo di bambina, poi diventata grande.

Ad ogni modo era la seconda volta che mi innamoravo in vita mia, e anche questa volta seppure per altri motivi, non avrei potuto fare l’amore con la ragazza che amavo. Non si prova una bella sensazione, a voler impedire il succedere di qualcosa che è già avvenuto. E per di più molti anni prima. La prima cosa a cui pensai ,fu di farmi dire chi fosse quel bastardo che aveva commesso quel delitto. Ma a che sarebbe servito? E di sicuro lei non me lo avrebbe mai detto. Per tutta la vita lo aveva tenuto dentro, ed io ero il primo a cui lo diceva.

Ad ogni modo, per me non cambiava nulla, quello che mi aveva confidato non poteva certo diminuire il mio amore per lei. Semmai lo rafforzava.

La sera cenammo a casa di sua sorella. Poi Loredana mi disse che sarei andato a dormire a casa di suo fratello che abitava da solo, in una bella casa antica ristrutturata. Lei andò dai suoi. La sera che passai a casa di suo fratello rimane una delle più esilaranti che abbia mai trascorso in tutta la mia vita. Non ricordo il suo nome….Poi capirete perché. Ad ogni modo mi recai da lui, salii le scale, e notai subito che aveva una bella casa. Mi fece cenno di sedermi in cucina e cominciammo a fare due chiacchiere,così del più e del meno. Giusto per conoscerci.

Poi mentre parlavamo, estrasse da un cassetto una scatolina con all’interno della carta stagnola, che aveva tutta l’aria di contenere marijuana . Mi sembrava strano, perché non mi disse niente. Eravamo in casa sua, ma si trattava pur sempre di droga, per cui mi aspettavo che quantomeno mi chiedesse se mi scocciava il fatto che si stesse per fare una canna.

Ovviamente non mi scocciava, e dopo averla accesa e fumata un po’, me la passò.

Che io mi ricordi, negli anni a venire non ho mai più fumato una canna di marijuana più forte e più potente di quella!

Ricordo solamente che cominciai e ridere come un cretino senza motivo. Ero talmente fuori che non mi rendevo conto se anche lui era sballato come me o se era “normale”.

Risi per almeno un paio d’ore. Poi quando mi svegliai al mattino, mi venne incontro con un’altra canna appena fatta, ma io gli dissi che era pazzo! Ero ancora frastornato da quella precedente, e poi di lì a poco avrei dovuto rivedermi con Loredana e non potevo essere “fuori”.Così se la fumò tutta da solo, roba da rimanerci stecchiti! Ma lui diceva che lo rilassava. La marijuana,diceva, lo aiutava sul lavoro, e riusciva ad essere più spigliato con i clienti.

Ci salutammo e andò a lavorare. Poco dopo incontrai Loredana, facemmo colazione insieme nel bar della piazzetta. Io presi un ottimo cornetto campano ripieno di marmellata e un succo di frutta . Lei un latte macchiato. E’ incredibile come anche nel più minuscolo paesello tre cose non mancano mai: la chiesa, il bar e la piazza. Poi mi accompagnò alla fermata del pullman per tornare a Napoli dove avrei preso il treno per Roma.

Ci baciammo a lungo, e ci salutammo. Arrivato a Napoli dovevo prendere la coincidenza dopo un’ora e un quarto, così per ingannare l’attesa feci un giro nel viale della stazione. Ai lati della strada,sul marciapiede, c’erano numerosi venditori ambulanti. C’era chi vendeva musicassette pirata, chi le granite ed infine c’erano molti venditori di sigarette di contrabbando. Ne comprai un pacchetto. D’ un tratto mi venne un’idea. Mi trovavo a Napoli per la prima volta, e certo non potevo andarmene senza aver mangiato una pizza. L’unico piccolo problema era che essendo le undici di mattina, le pizzerie erano tutte chiuse, e poi io non ero così affamato da mangiarmi una pizza al piatto. Così decisi di comprarne un quadratino in un forno dove la facevano al taglio. Mi ricorderò sempre la bontà di quella pizza, perché ne presi un pezzo dove sopra c’era solo il pomodoro.

Le altre erano finite tutte, e quella che presi io aveva come unico condimento il pomodoro, non c’era neanche la mozzarella. Ma era divina. Mi sedetti su degli scalini, più o meno a metà del viale e mentre mi gustavo la mia pizzetta, si avvicinò un tipo. Era un ragazzo biondo, abbastanza magro , con i capelli lunghi fino alle spalle.

Mi si avvicinò e cominciò a parlarmi. Mi chiese da dove venivo. Gli dissi la verità, che studiavo a Roma, e che ero appena andato a trovare la mia ragazza. Lui sembrava molto interessato a quello che dicevo, anche se parlavamo del più e del meno. Parlammo a lungo quasi una mezz’ora. Lui mi diceva che era in cerca di lavoro, e che di tanto in tanto si guadagnava da vivere spacciando hashish, e mi chiese se ne volevo un po’. Io gli risposi che il giorno prima avevo fumato la marijuana più forte che avessi mai sentito,e gli raccontai il tipo di “sballo” che avevo provato.

Decisi comunque di comprarne un po’, pensando anche al fatto che in quel modo avrei assaporato il “fumo” napoletano. Ma quando gli chiesi di darmelo, mi disse che il fumo non ce l’aveva con sé, che doveva andarlo a prendere a casa di uno , e che poteva andarci solo lui, poiché che il tipo era in libertà vigilata. Io avrei dovuto dargli i soldi e aspettare. Era un chiaro tentativo di “pacco”. E ci sarei anche cascato se non mi fosse già capitato due mesi prima alla stazione Termini.

Così gli dissi “No grazie” e lo salutai. Durante il viaggio, ripensai a quell’incontro. Passo dopo passo ricostruii tutto quello che era successo. Sapevo che quel tipo voleva fregarmi, per cui immaginai che quando mi si avvicinò, non lo fece casualmente. Già sapeva dove voleva arrivare.Ma aveva usato una tecnica sopraffina.  Poteva anche dirmi subito che voleva vendermi del fumo, e tutta la storia seguente che doveva andarlo a prendere e che io avrei dovuto aspettarlo là. Forse, se non io, un altro ci sarebbe cascato.

E invece no, lui si avvicinò cercando di conoscermi e facendomi credere che quello che stavo vivendo era un incontro occasionale. Solo dopo mezz’ora uscì allo scoperto facendomi la proposta.Tutto ciò era un modo di “lavorare” affinché la vittima si potesse fidare ciecamente. Tanto è vero che ad un certo punto stavo per consegnare ventimila lire ad uno sconosciuto, ma che in quel momento mi sembrava un amico di vecchia data.

Il viaggio Napoli-Roma , che solitamente dura due ore, quel giorno ne durò quasi quattro. Il convoglio si fermò improvvisamente all’altezza di Formia e rimase fermo per circa due ore. Era successo che un detenuto, del vagone attiguo al mio , scortato da due carabinieri era riuscito ad eludere la guardia dei gendarmi e conseguentemente aveva tirato il freno a mano. Riuscendo così a scappare per i campi. I carabinieri lo inseguirono, ma non vidi se riuscirono a riacciuffarlo.

Fortunatamente avevo preso l’abitudine di portare il walk-man sempre con me, come fosse un oggetto personale, poiché in una metropoli come Roma, a volte può capitare di rimanere su un autobus diverse ore, per via del traffico.

Così i giornali, e nel mio caso il walk man diventano “vitali”. Quel giorno avevo una cassetta dei Dexys Midnight Runners.

Me l’aveva registrata Roda prima di partire per Roma,e quando me la diede mi raccontò un aneddoto riguardo il cantante, un certo Kevin Rowland.

Durante una trasmissione televisiva, nella quale egli era ospite con il suo gruppo,per tutto il tempo non faceva altro che palpare il culo alla presentatrice che lo aveva appena annunciato e non la smetteva più, tanto che alla fine dello show, lei lo denunciò. Doveva essere proprio un tipo forte quel Rowland. Arrivato a Roma, chiami Enzo e gli raccontai che ero appena stato dalle sue parti. Gli dissi quanto mi piaceva la Campania. La mia storia con Loredana andò avanti per circa tre mesi, poi un po’ per la lontananza e soprattutto per quel suo problema, i rapporti cambiarono. Ci dicemmo , che per via del fatto che abitavamo in due città diverse e abbastanza lontane fra loro, forse era il caso di far cadere la cosa. Così avremmo sofferto di meno. Ma purtroppo sapevamo entrambi quale era il vero motivo. Continuammo a sentirci un altro mese per telefono, poi verso dicembre smisi di chiamarla. Lei non si fece sentire, e la cosa finì. Di lei mi rimase tanta bellezza e dolcezza, e soprattutto mi insegnò una volta per tutte a fare bene gli spaghetti alla carbonara. A me non riuscivano mai bene. L’uovo rimaneva sempre troppo liquido.

Nel frattempo stavo traslocando, ero arrivato ai ferri corti con uno dei tre ragazzi con cui dividevo l’affitto,(quello che aveva messo le etichette sui cibi) per vari motivi. L’ultimo fu che lui si incazzò perché mentre era a casa sua a Bari, io preso da un freddo glaciale, dato che in quel periodo avevamo problemi col riscaldamento, aprii il suo armadio e presi il suo piumone. Sull’involucro c’era un biglietto con su scritto“Titta non prendere il piumone sennò mi incazzo. Edo”. Doveva essersi accorto che glielo avevo già usato in precedenza. Ad ogni modo lo presi lo stesso e non mi preoccupai di risistemarlo com’era prima .

Alcuni giorni dopo tramite un annuncio su “Porta Portese” trovai un alloggio di mio gradimento.

La padrona mi disse che la casa si sarebbe liberata solo dopo un mese, così le diedi la cauzione, in modo da bloccare l’appartamento. Il problema però consisteva nel fatto che avrei dovuto passare un altro mese con una persona che odiavo. Negli anni a venire avrei imparato a fare buon viso a cattivo gioco,ad essere più malleabile. Avrei imparato ad andare dritto allo scopo che è l’unica cosa che ci interessa di più alla fine di tutto. Ogni tanto qualche compromesso si può anche accettare. Potevo stare benissimo un altro mese in casa con quella persona e semplicemente ignorarla,e fare i miei interessi che erano esclusivamente quelli di fare trascorrere un mese. Ma avevo vent’anni, e se una cosa non era come la volevo io, la rifiutavo. Decisi di prendere in affitto una stanzetta da qualche parte. Per un mese. Poi sarei andato a stare nel nuovo appartamento.

Mi recai dalle parti della stazione, e trovai una stanza in un malfamatissimo hotel a zero stelle, situato proprio sopra ad un negozio di alimentari che ben conoscevo, perché qualche tempo prima ci passavo spesso per fare la spesa di ritorno dal parcheggio.

Un giorno appena rientrato a casa, appoggiai il sacco della spesa sul tavolo, e mi accorsi che mi avevano dato tre rosette invece di quattro come gli avevo chiesto io. Pensai ad un errore. Poi però mi capitò altre volte e ne dedussi che non era un errore. Notai il tipo che mi serviva mettendomi nella sporta almeno una o due rosette in meno di quelle che gli avevo chiesto. Lo capii anche perché tutte le volte che mi serviva mi diceva “Vada,vada pure a pagare alla cassa che intanto le preparo la sporta con la sua roba”. In quel mentre io impegnato alla cassa a pagare non potevo vedere quello che faceva.

Restai soltanto quella notte nell’hotel, era davvero troppo pericoloso. Non perché fosse infimo e malfamato, ma perché notai che la signora che stava,diciamo, nella Hall, teneva nel cassetto una pistola. Durante la notte, vicino alla mia stanza, mi accorsi che dormiva un transessuale, lo incontrai mentre andavo in bagno, poiché i servizi erano in comune sul pianerottolo della stanza dove alloggiavo. Non era male, ci parlai un po’ e mi disse che aveva 28 anni e che era di Palermo. Gli chiesi quanto voleva e mi feci fare un pompino.

L’indomani lasciai l’hotel e con tutte le mie valigie mi sedetti su una panchina in Piazza Esedra, dove c’è una bellissima fontana e pensai al da farsi. Potevo farmi ospitare da Enzo, il quale sicuramente mi avrebbe detto di sì. Ma sapevo che spesso si portava a casa delle ragazze, per cui non volevo metterlo in difficoltà. Pensai ad un altro che abitava sulla via Tuscolana all’altezza di Cinecittà, ma un mese a casa sua era troppo . Poi mi venne in mente la persona che poteva fare ancora una volta al caso mio: Luciano. Luciano mi aveva trovato ben due lavori e poiché aveva anche un paio di stanze da affittare, mi rivolsi a lui di nuovo. Questa volta lo vidi un po’ giù, diceva che col tempo, la solitudine che prima gli era amica, lo stava perseguitando. Non aveva amici, tranne un ragazzo che occupava una delle due stanze. L’altra la affittò a me, e ci accordammo per trecentomila lire per un mese.

Fu quello per me un periodo “morto”, nel senso che avevo cambiato casa, ma non avevo ancora messo piede nella nuova dimora. Non avevo neanche disfatto le valigie. Però al mattino andavo lavorare nella pasticceria, per cui continuavo a fare la vita della persona perfettamente inserita nella città, ma la sera vivevo praticamente da turista. Il fatto poi di non poter disporre di una cucina, mi faceva sentire dappertutto tranne che a casa. La sera senza tv, non sapevo cosa fare e oltretutto avevo pochissimi soldi perché avevo consegnato un anticipo per il nuovo appartamento. Così cercai di non uscire per non spendere. Però cosa potevo fare? Non avevo la Tv, non avevo libri, e non avevo soldi. Avevo però una penna e un foglio di carta, e così un po’ per scherzo, una sera cominciai a scrivere alcune poesie. Ci presi gusto e per tutto il mese ne scrissi una decina. Parlavano per lo più di barboni, prostitute e di perdenti in generale, e dovevano piacere molto a chi le leggeva, tanto che Luciano dopo averle lette mi convinse di mandarle a Maurizio Costanzo. Io mi misi a ridere. Non potevo certo pensare che quello che avevo scritto potesse interessare a qualcuno. Ma con mia grande sorpresa, dopo una decina di giorni, mi telefonò una tale dicendo di essere il segretario di Maurizio Costanzo.

Mi disse che le poesie gli erano piaciute molto e che sicuramente mi avrebbero chiamato per invitarmi a partecipare al “Maurizio Costanzo Show”. Lesse per telefono alcuni passi delle mie poesie sottolineando a parole quelle che gli piacevano di più. Naturalmente io ero entusiasta. Mi disse che mi avrebbe richiamato. Aspettai qualche giorno,qualche settimana,qualche mese,ma non mi richiamò più.

Il mese era passato, ed ero pronto per andare ad abitare nel nuovo appartamento Prima però dovevo pagare l’affitto a Luciano, e questo era un problema. Non avevo più una lira, perché durante il mese in cui abitai mi licenziai dalla pasticceria.

Un giorno successe che arrivando in ritardo con le consegne per via del traffico, il gestore aveva preso la torta e fece il gesto di tirarmela in faccia dicendo“ Aho e mò arivi?!! Li clienti se ne so annati tutti !! Sta torta te la poi pure tenè!!.” Ci rimasi molto male, mi sentii davvero umiliato e mi licenziai.

Avevo giusto trecentomila lire . La cifra esatta che dovevo a Luciano . Quei soldi però dovevano servirmi per andare avanti almeno fino a che non avrei trovato un altro lavoro. Così l’ultima notte, verso le quattro di mattina, preparai la valigia e me ne andai senza dargli i soldi, e non mi feci nessun scrupolo poiché Luciano qualche sera prima ci aveva “provato” con me, per cui presi quel fatto come un pretesto per non dargli una lira. Me ne andai senza sentirmi in colpa.

Nel nuovo appartamento ci abitavano due ragazzi, ma uno se ne stava andando e io sarei subentrato al suo posto. L’altro era Mario, un ragazzo di Taranto. Era un tipo tranquillissimo e diventammo subito amici.

Era solo un po’ sbadato, e ogni tanto aveva qualche “mancanza” dovuta penso alle numerose canne che si fumava. Un giorno mi chiese se ero interessato ad andare ad assistere ad un’opera lirica, La Turandot, al teatro dell’Opera. Gli risposi che non avevo mai visto un opera,e che ci sarei andato volentieri. Così disse che ci avrebbe pensato lui ad acquistare i biglietti .

Ma quando andammo a teatro, un sabato pomeriggio, vidi tutta la gente che usciva, per cui immaginai che l’opera fosse appena finita. Dissi a Mario se era sicuro che dell’orario e lui mi disse di non preoccuparmi, e che avremmo assistito al secondo spettacolo. Ma era un opera lirica, con attori e cantanti che recitano dal vero e in diretta. Non un film…! Come poteva esserci un secondo spettacolo!!?? Trentamila lire ciascuno buttate nel cesso.

Un’altra volta, con Lalla e Sara, due nostre amiche, andammo alle terme di Saturnia. Ma durante il bagno nell’acqua sulfurea, Mario che stava prendendo il sole decise di aprire una bottiglia di birra con una chiave, dato che eravamo sprovvisti di cavatappi. Tra tutte quelle che aveva usò proprio la chiave della macchina, quella per l’accensione. La chiave si spezzò al primo colpo e dovemmo tornare a casa in treno. Un’altra volta invece successe una cosa davvero buffa.  Era un venerdì sera e l’indomani Mario doveva tornare a casa a Taranto.  Aveva deciso di portare con sé alcuni grammi di hashish, e siccome doveva fare il viaggio in treno, pensò uno stratagemma intelligente per nascondere alla perfezione il fumo, poichè spesso all’arrivo alla stazione c’erano i poliziotti che facevano le perquisizioni. Ne mise un po’ dentro un walk-man (tra l’altro era il mio che mi aveva rotto un mese prima).

Poi quello più malleabile lo pirullò come si fa con la plastilina, lo allungò un poco,e lo mise dentro alcune sigarette dopo avere tolto un po’ di tabacco. Usò un pacchetto della stessa marca di quelle che fumavo io, e dopo aver finito il lavoro pazientemente, appoggiò il pacchetto sul suo comodino.

La sera stessa dovevo andare in discoteca con alcuni ragazzi conosciuti in facoltà. Mi vestii, mi misi il giubbotto e cercai le sigarette. Vidi il pacchetto sopra il comodino di Mario, e pensai fossero le mie, pensai di averle dimenticate nella sua stanza la sera prima, poiché ci eravamo fatti una canna insieme, ed io ero all’oscuro di quel suo “geniale” nascondiglio. Ne fumai un paio durante il tragitto, ma non successe niente ,evidentemente avevo preso quelle buone. Poi quando mi trovai nella pista da ballo della discoteca, mi accesi una sigaretta, e mi accorsi di uno strano odore. Subito dopo avvertii uno scoppiettio e pensai che qualche mio amico mi avesse fatto uno di quegli scherzi deficienti, mettendomi nelle sigarette quegli affarini che si trovano nei negozi di carnevale e che provocano scintille appena si accende la sigaretta.

Una volta invece, sempre Mario mi insegnò un “giochino” divertente.

Mi disse di affacciarmi dalla finestra del nostro appartamento che si trovava al terzo piano e di guardare di sotto.  Io lo assecondai ma non capivo dove volesse arrivare. Mi disse “Non vedi niente?” ed io risposi

E cosa devo vedere? Vedo solo una fila di macchine sotto la nostra via” . “Appunto.” disse lui.”….Guarda meglio..” Io non riuscivo a capire. Gli chiesi di dirmi quello che aveva in mente, e così mi fece notare che dall’alto si potevano vedere le gambe delle donne che erano dentro l’abitacolo delle auto in fila nel traffico. Stando così sedute, a molte di esse che guidavano con la minigonna, si alzava tutto il vestito, e non se ne curavano fino a che non scendevano dalla macchina. Non potevano certo sapere che qualcuno le spiava dall’alto….

Una sera andammo a magiare in una trattoria romana nella quale secondo Mario facevano i bucatini all’amatriciana più buoni di tutta Roma. Il locale aveva da poco cambiato gestione,e in precedenza era un ristorante cinese, ma il nuovo proprietario per questioni economiche o semplicemente per pigrizia, non si era preoccupato di cambiare l’arredamento, per cui l’atmosfera era quantomeno irreale. Mangiammo degli ottimi bucatini con decine di quelle caratteristiche palle cinesi rosse sopra la nostra testa.

Il ragazzo che se ne andò per lasciarmi il posto, mi trovò anche un lavoro, quella volta presi veramente due piccioni con una fava,come si dice. Mi disse infatti che sarebbe tornato a casa sua definitivamente, a Cosenza, perché aveva interrotto l’università. Poi parlando del più e del meno mentre preparava le valigie, mi disse che aveva lavorato come fattorino presso un’agenzia cinematografica che organizzava festival del cinema ,e mi propose di sostituirlo.Non ci pensai due volte e mi feci passare il numero di telefono dell’agenzia.

Finalmente oltre ad avere trovato lavoro ed una nuova casa, avrei avuto la possibilità di entrare nell’ambiente cinematografico. Finalmente potevo cominciare ad occuparmi concretamente a quello per cui avevo deciso di trasferirmi a Roma. Quel giorno presi tre piccioni!

La prossima settimana il Capitolo 17

“Il mondo dorato del cinema mica tanto dorato”