Palle cinesi – La mia autobiografia 17 capitolo

Nel 2004, ho scritto la mia auotobiografia. L’intenzione era quella di parlare delle tante esperienze sul palco, e di tutto ciò che ruota attorno al mondo della musica, ma scrivendolo mi sono accorto di avere molti argomenti della mia vita privata che avrebbero potuto interessare alle persone che mi seguono ed ho voluto condividerli con loro.

“Palle cinesi”, così si chiama il libro (Allori ed.) parla della mia vita e delle mie esperienze da quando ero bambino fino a quando ho fondato la band.

Per ragioni di privacy alcuni nomi sono stati cambiati con nomi di fantasia.

“Conosco e sono amico di Titta da tempo. Con lui e la sua musica ho passato tanti momenti piacevoli da arrivare egoisticamente a considerarlo un menestrello quasi privato,come se cantasse solo per me e si dedicasse solo al mio divertimento. Mai però avrei pensato che la sua sfrontatezza e la voglia di mettersi a nudo l’avrebbe portato a regalarci la storia della sua vita. Una storia di piccole storie,di gente comune lontana dal passaggio dei grandi eventi.Una vera e propria autobiografia. Simpatica e gradevole. Densa di episodi vissuti,ricordi semplici e forse apparentemente insignificanti, ma veri,come vero e pieno è il suo bisogno di mettersi alla prova e di vivere esperienze sempre nuove. Raccontare di sè è un momento importante,una dichiarazione dei propri sentimenti e stati d’animo che serve a capire meglio se stessi e aiuta gli altri a comprenderci. Impone un lavoro di recupero e trasmissione della memoria,che significa entrare nell’intimo dei ricordi e del proprio vivere quotidiano. A costo di riportare a galla anche episodi dolorosi del proprio vissuto. E’ un segno di grande generosità e vi ritrovo appieno il Titta che conosco”.

(Enrico Laghi)

CAPITOLO 17

“Il mondo dorato del cinema mica tanto dorato”

Nell’Aprile del 1991 cominciai a lavorare per “Europa Cinema”.

Era un’agenzia molto importante, che organizzava tutti i festival più rinomati:Le grolle d’oro” che si svolgeva a Saint Vincent, il premio “Solinas” che era un concorso per sceneggiatori, a La Maddalena ,in Sardegna ed “Europa Cinema”. Praticamente organizzavamo i festival più grossi, a parte quello Venezia.

Io fui assunto come fattorino. Il mio lavoro consisteva nel rispondere alle telefonate, quando mi trovavo in ufficio, ma spesso giravo per Roma a casa di attori e registi per consegnare loro le videocassette. Il tutto funzionava così: il festival vero e proprio si svolgeva in estate a Viareggio e durava una decina di giorni, e per tutto il resto dell’anno c’era la preparazione che facevamo noi. Il direttore artistico era Felice Laudadio, forse, anzi sicuramente la persona più straordinaria che abbia mai conosciuto.

Io mi recavo spesso a casa degli attori e dei registi che formavano la giuria, poiché prima del festival dovevano visionare le videocassette dei film in concorso, che poi avrebbero votato. Di conseguenza andavo spesso a casa di persone molto note.Spessissimo a casa di Nanni Loy, che mi faceva sempre entrare e mi offriva qualcosa da bere.  Il primo giorno notai che sul muro del salotto di casa sua c’era appesa una bandiera comunista grande come tutta la parete. Mi recavo due, tre volte la settimana a casa sua, per un certo periodo, ma non ebbi mai il coraggio di chiedergli qualcosa. Potevo benissimo domandargli se mi faceva fare una particina in qualche film, o se mi presentava a qualcuno, anche perché nell’ambiente dello spettacolo funziona così. Non c’è un iter come in un lavoro normale. Bisogna semplicemente cercare le occasioni e coglierle al volo. Ma il mio carattere me lo impediva. Mi sembrava di rompergli le scatole, per cui non riuscii mai a chiedergli niente, nonostante andai a casa sua almeno una decina di volte.

Spesso in ufficio mi trovavo a conversare telefonicamente con personaggi molto famosi del calibro di Diego Abatantuono, Elena Sofia Ricci, Giuseppe Cederna, Ornella Muti,Massimo Dapporto,Ottavia Piccolo, Paolo Virzì e tanti altri. Una mattina mi presentarono un tizio molto alto e robusto, che era venuto in ufficio per parlare con il direttore artistico . Disse di chiamarsi Stefano Benni, ed io che ancora non avevo letto i suoi libri,gli strinsi la mano senza sapere chi fosse.Un giorno chiamò Giuliana De Sio, e mi disse che nessuno poteva accompagnarla in aeroporto dove avrebbe dovuto prendere l’aereo per la Sardegna. Era totalmente disperata. Continuava a ripetere che da sola non sarebbe stata in grado di recarsi all’aeroporto, diceva che sicuramente avrebbe avuto una crisi di panico, e mi implorava di trovargli qualcuno che l’accompagnasse. Io le risposi che non sapevo davvero chi avrebbe potuto farlo. Le dissi che se proprio non avesse trovato nessuno l’avrei accompagnata io. Così mi riferì che avrebbe fatto un ultimo tentativo con un’altra persona e mi avrebbe fatto sapere. Richiamò dopo dieci minuti dicendomi che sarebbe andata all’aeroporto con Carlo Lizzani, il regista del film con il quale aveva lavorato. Lo stesso giorno chiamò anche Ornella Muti, dicendo che non aveva ancora ricevuto il biglietto aereo. Le risposi subito che mi sarei precipitato in aeroporto per farglielo personalmente, ma con mio rammarico dopo qualche minuto mi riferì che lo aveva trovato. Nell’organizzazione dei vari festival lavoravano in tutto una decina di persone. Quando ci trasferimmo tutti a Viareggio per il festival, per me fu una pacchia. Io non dovevo fare quasi nulla perché occupandomi dei biglietti per i viaggi degli attori, e delle consegne del materiale, il mio lavoro l’avevo concluso tutto a Roma e andai a Viareggio solamente perché facevo parte dello staff. Per cui fu praticamente una vacanza.  Io fui l’ultimo a partire e presi il treno alla stazione Termini, sapendo che alla stazione di Viareggio sarebbe venuto a prendermi l’autista del festival. Sul mio stesso treno a mia insaputa viaggiava anche l’attrice Lina Sastri.  L’autista aveva avuto istruzioni dal ragioniere, mio amico, il quale scherzosamente gli aveva detto che sarebbe dovuto andare a prendere Lina Sastri e il Dott. Tittarelli. Il caso volle che Lina Sastri si trovasse nei primissimi vagoni, per cui appena scese vide subito l’autista e con una certa fretta gli disse di accompagnarla all’hotel.  Ma l’autista le rispose che avrebbero dovuto aspettare il Dott. Tittarelli,cioè io, che mi trovavo nell’ultima carrozza e che durante il viaggio mi ero fumato due canne con alcuni ragazzi di Siena che erano stati al Flaminio a vedere il concerto dei Rolling Stones . Non mi ero nemmeno accorto di essere arrivato. Persi anche abbastanza tempo per salutare quei ragazzi, ci scambiammo gli indirizzi e i numeri di telefono. Poi mi incamminai lentamente verso l’uscita , dove l’attrice stava cominciando a spazientirsi per quell’imprevista attesa. Quando mi vide arrivare e si accorse che il Dott. Tittarelli altri non era che poco più di un barbone, ebbe un’espressione visibilmente disgustata.

Quella fu una settimana da sogno. Ero partito da Roma con quarantamila lire e per sette giorni alloggiai al Grand Hotel di Viareggio, in una camera fichissima accessoriata di frigo bar pieno di coca cola e Rum. A pranzo e cena andavo nei migliori ristoranti di pesce convenzionati con il festival,e alla sera si andava tutti in discoteca. Io ci andavo con i ragazzi che lavoravano come autisti per il festival, erano molto simpatici e rimanemmo in contatto anche dopo la fine della manifestazione. La mattina dormivo fino a mezzogiorno e il pomeriggio andavo a vedere le proiezioni. Anche qui ero a contatto con registi e attori famosi ma non parlai mai con nessuno di lavoro. Un po’ per timidezza e un po’ perché pensavo solo a divertirmi. Però guardando i film in concorso cominciai ad avvicinarmi al cinema d’autore, che fino a quel momento pensavo fosse una palla. Lo avevo immaginato sempre come un cinema difficile. Su tutti ricordo un film che era davvero un gioiello. Si intitolava “Paradiso senza biliardo” di Carlo Barsotti. Che io sappia non penso sia mai uscito nelle sale ma era davvero carino. Parlava degli immigrati italiani, per lo più toscani e milanesi che negli anni cinquanta si recavano in Svezia per lavorare. Il protagonista era Paolo Migone, e anche Giacomo di “Aldo,Giovanni e Giacomo” aveva una piccola parte. Spesso vedevo anche scene un po’ imbarazzanti. Una sera mi trovavo al ristorante e vicino al mio tavolo c’era Lino Patruno che era stato chiamato a suonare al festival con la sua orchestra. Io me lo ricordavo bene perché per anni era stato ospite fisso di “Portobello” la nota trasmissione condotta da Enzo Tortora. D’ un tratto cominciò a dare di matto, urlava come una pazzo con i camerieri , dicendo loro con modi villani di sbrigarsi a portargli da mangiare, ma lo faceva ad alta voce in modo da farsi sentire da tutti i presenti. Poco dopo cambiai tavolo, perché trovandomi vicino a lui, mi sentivo osservato anch’io.

Prima di partire per la Sardegna, dove si sarebbe svolto il concorso per gli sceneggiatori, mi trovavo all’aeroporto con tutti gli attori e i giornalisti accreditati e dovevo consegnare loro i biglietti aerei. Appena mi videro col mazzetto di biglietti in mano, mi saltarono addosso come belve assetate di sangue. Quasi mi aggredirono, e fui costretto, vergognandomi per loro, a zittirli sgridandoli, e rassicurandoli che il biglietto c’era per tutti. Nel periodo in cui non c’erano i festival e non era ancora il momento di mettersi a lavorare sulla preparazione, in ufficio non c’era quasi niente da fare. Ma Felice,il direttore artistico, fu molto gentile con me. Mi disse che avrebbe trovato qualcosa da farmi fare , per non farmi perdere il posto, di conseguenza avrei avuto la possibilità di ricevere lo stipendio tutto l’anno.  Diventai il suo ragazzo di fiducia. A volte facevo l’autista per lui e la sua compagna, la regista tedesca Margarethe Von Trotta.

Un giorno andai a prenderlo all’aeroporto dove era di ritorno dal festival di Berlino. Avevo parcheggiato senza guardare bene dove avevo messo la macchina, anche perché ero un po’ in ritardo. Quando andammo a riprenderla, non avevo assolutamente idea di dove potesse essere. Il parcheggio era enorme, c’erano più di mille auto e la nostra era una Fiat Uno beige, per cui molto comune come macchina. Tra l’altro Felice quel giorno era accompagnato da un giornalista grassissimo e sotto il sole cocente pareva dovesse svenire da un momento all’altro. Trovammo la macchina dopo tre quarti d’ora, e con mia grande meraviglia, Felice non si alterò minimamente per quel fatto. Mi disse con assoluta calma e pacatezza che prima di parcheggiare dovevo prendere qualcosa come riferimento, altrimenti sarebbe stato difficile poi ritrovare l’auto.

Io mi sarei incazzato come una bestia.

Una sera d’agosto mi successe una cosa alquanto bizzarra.  Mi trovavo in un baretto in piazza Navona, ci andavo spesso perché era frequentato da attori o comunque gente dello spettacolo, ed io ne conoscevo alcuni. Ci andavo promettendomi di chiedere di farmi entrare nel cinema, o di farmi conoscere qualche regista importante per un provino. Quella sera il bar era semi deserto, ma vidi una donna, che avevo conosciuto un mese prima ad un festival , era un attrice piuttosto nota . M. mi salutò e mi chiese cosa ci facevo nel bar tutto solo. Le risposi che ero andato a prendere qualcosa da bere, poiché trovandomi in giro per il centro di Roma avevo un gran caldo. Lei mi guardò in modo un po’ particolare e mi squadrò dalla testa ai piedi. Poi disse: “Senti, perché non vieni a casa mia a bere qualcosa? Abito proprio qui dietro, e tra l’altro vivo sola per cui mi farebbe piacere un po’ di compagnia visto che sto andando a casa”.

Io accettai subito . Con le attrici avevo un buon rapporto e con alcune di loro avevo anche parlato di cose molto private. Praticamente mi avevano raccontato tutta la loro vita. Forse perché in me vedevano una persona neutra al loro ambiente e quindi quando sentivano il bisogno di sfogarsi con qualcuno lo facevano con me. E poi dicevano che io le sapevo ascoltare. M. disse addirittura che ero un buon “psicologo”. Ad ogni modo mi recai con lei. Salimmo le scale di un bellissimo palazzo antico e entrammo nell’appartamento. Lei continuava a ripetermi che viveva da sola e che non avevo nulla da temere, ed io le rispondevo che anche se abitava con qualcuno non c’era nessun problema per me. E non capivo cosa ci potesse essere da temere. Ma appena entrammo nell’atrio della casa, lei si voltò e cominciò a baciarmi con una foga tremenda, togliendomi il respiro da quanto mi stringeva. Mi disse di non dire niente e di assecondarla. Mi disse che dovevo fare tutto ciò che voleva lei. Io cercavo di calmarla all’inizio, perché pensavo fosse in preda ad un raptus e un po’ mi faceva paura, ma lei mi ripeteva di stare tranquillo che non mi avrebbe fatto niente di male, dovevo solo stare al suo gioco. Ed io stetti al suo gioco se non altro per curiosità, per vedere fino a che punto sarebbe arrivata. Conoscevo le perversioni maschili, ma quelle femminili no di certo, per cui non me ne andai e cominciai ad eseguire ogni suo ordine.

Mi disse di spogliarmi completamente nudo. Ma dovevo farlo davanti a lei. Mi disse di attendere. Poi accese lo stereo e si sedette sul letto. Io ero in piedi davanti a lei cominciai a spogliarmi. Ebbi quasi subito un erezione, anche perché la cosa mi stava abbastanza eccitando, trovavo piacevole il fatto di essere comandato da una donna e di essere trattato come un oggetto. Così appena vide che mi ero eccitato, cominciò a baciarmi il pene.  M. come lei stessa diceva, si era trasformata in una cagnolina, e stava sul letto in posizione da cagna mentre me lo baciava. Io ero sempre in piedi davanti al letto. Poi mi disse di scambiarci di posto e mi fece mettere steso sul letto e supino. Mi disse di attendere un altro minuto e andò in cucina. Tornò con alcuni lacci di cuoio e mi disse che mi avrebbe legato al letto. Quando mi legò ai polsi e ai piedi, prese un frustino che teneva sotto il letto, e che evidentemente usava con tutti i suoi amanti. Poi cominciò a sbatterlo contro di me. Si sedette sul mio pene ed iniziò a muoversi su e giù, ma cominciando a usare il frustino con più veemenza. Poi perse completamente la testa. cominciò a frustarmi con una violenza inaudita, tanto da farmi uscire il sangue, ed io cominciai ad urlare implorandole di smetterla. Ma lei continuava sempre di più e sempre più forte, non curandosi delle mie urla, anche perché aveva opportunamente alzato al massimo il volume dello stereo. Quando vide che era inutile insistere e che non poteva pretendere che io continuassi a essere duro dentro di lei mentre mi frustava, si rassegnò, e cominciò a masturbarsi con un vibratore, continuando ad usare il frustino. Poi quando mi slegò, non dissi una parola. La guardai come si guarda un brutto film e me ne andai.

La prossima settimana il Capitolo 18

“La nostalgia della provincia”