Palle cinesi – La mia autobiografia 4 capitolo

Nel 2004, ho scritto la mia auotobiografia. L’intenzione era quella di parlare delle tante esperienze sul palco, e di tutto ciò che ruota attorno al mondo della musica, ma scrivendolo mi sono accorto di avere molti argomenti della mia vita privata che avrebbero potuto interessare alle persone che mi seguono ed ho voluto condividerli con loro.

“Palle cinesi”, così si chiama il libro (Allori ed.) parla della mia vita e delle mie esperienze da quando ero bambino fino a quando ho fondato la band.

Per ragioni di privacy alcuni nomi sono stati cambiati con nomi di fantasia.

“Conosco e sono amico di Titta da tempo. Con lui e la sua musica ho passato tanti momenti piacevoli da arrivare egoisticamente a considerarlo un menestrello quasi privato,come se cantasse solo per me e si dedicasse solo al mio divertimento. Mai però avrei pensato che la sua sfrontatezza e la voglia di mettersi a nudo l’avrebbe portato a regalarci la storia della sua vita. Una storia di piccole storie,di gente comune lontana dal passaggio dei grandi eventi.Una vera e propria autobiografia. Simpatica e gradevole. Densa di episodi vissuti,ricordi semplici e forse apparentemente insignificanti, ma veri,come vero e pieno è il suo bisogno di mettersi alla prova e di vivere esperienze sempre nuove. Raccontare di sè è un momento importante,una dichiarazione dei propri sentimenti e stati d’animo che serve a capire meglio se stessi e aiuta gli altri a comprenderci. Impone un lavoro di recupero e trasmissione della memoria,che significa entrare nell’intimo dei ricordi e del proprio vivere quotidiano. A costo di riportare a galla anche episodi dolorosi del proprio vissuto. E’ un segno di grande generosità e vi ritrovo appieno il Titta che conosco”.

(Enrico Laghi)

 

CAPITOLO 4

“LE MEDIE”

La prima cosa che ricordo della scuola media, e che cominciarono a chiamarmi per cognome. Tutti i miei compagni non mi chiamavano più innocentemente Giuseppe. Da quel momento ero diventato Tittarelli. Così anch’io mi abituai a chiamare i miei amici per cognome, e dopo poco tempo mi sembrava stranissimo e così remoto il fatto di chiamare qualcuno con il suo nome di battesimo. C’era uno ad esempio che si chiamava Berardi , ed io non riuscivo a pensare all’eventualità che costui avesse anche un nome proprio, tipo Giovanni o Filippo. Per me si chiamava Berardi e basta.

La maestra si era trasformata in professoressa. Era finita la pacchia. Il primo giorno avevo una gran paura di entrare in classe, si diceva in giro che da quel momento avrei dovuto cominciare a studiare sul serio. Non potevo più fare finta come prima.

Per uno come me era la cosa peggiore che mi si potesse dire. Il preside somigliava incredibilmente all’attore Oreste Lionello e mi colpì subito (negativamente) perché quando ci sorrise entrando in classe, dopo averci fatto alzare tutti in piedi, notai che aveva i denti completamente gialli. Si diceva che fumasse qualcosa come tre pacchetti di sigarette al giorno. Quando entrava in aula non spegneva mai la sigaretta e ci diceva che noi non potevamo fumare in classe (nonostante avessimo tutti quattordici anni qualcuno già spippettava) .

Noi no, ma lui sì.

Pensai che invece avrebbe dovuto dare il buon esempio, se era vietato fumare in classe doveva esserlo per tutti. Invece no, il suo messaggio ed insegnamento era quello che nella vita è importante raggiungere certi risultati e certe posizioni non per una gratificazione personale,non per avere un buon stipendio ( che pure è una gratificazione personale) ma solo per avere dei privilegi che altri non hanno, e più sei importante, più puoi trattare gli altri come delle merde.

Tra i miei compagni c’era un certo Quattrini che aveva un grosso problema di sudorazione, nel senso che aveva il setto nasale deviato e faceva fatica a respirare per cui sudava molto. Nell’aula si sentiva sempre un odore acre simile a quello di crackers mangiucchiati. Gli insegnanti che avevo alle medie erano tutti molto preparati, nulla da dire, ma l’unica materia che mi interessava era Italiano. Era l’unico argomento in cui riuscivo a capirci qualcosa, e odiavo la matematica.

Un giorno la professoressa di matematica, che ricordo essere una bella donna, ci diede da svolgere un compito in classe. Passò tra i banchi e consegnò ad ognuno la fotocopia dove c’erano delle espressioni algebriche dei problemi da risolvere. Io non guardai nemmeno il foglio poiché sapevo che mai e poi mai sarei stato in grado di trovare le soluzioni ai quesiti in questione. Così mi alzai e lo riconsegnai in bianco. Lei mi guardò e rimase stupita, quasi offesa perché non avevo neppure tentato di svolgere il compito e lo prese come un fatto personale.

Come insegnante di educazione fisica avevamo un tipo che tutti i lunedì mi “sequestrava” la “Gazzetta dello Sport” per leggere la pagina dedicata all’ippica.Il nostro insegnante di religione invece si chiamava Don Luigi. Si vociferava che una volta l’avevano sorpreso mentre leggeva un giornale pornografico, infilato tra le pagine del registro di classe. Forse era una leggenda, ma a noi piaceva pensare che fosse vero.

Don Luigi aveva i capelli tutti appiccicati alla testa e non ho mai capito se usasse il gel, la brillantina o lo strutto! Aveva un modo molto particolare di esprimersi: se ad esempio doveva dire a qualcuno che non capiva niente, secondo lui il modo corretto per dirlo era: “ Tu capisci niente” perché se diceva “Tu non capisci niente” negava la parola “niente” quindi significava che il soggetto in questione capiva qualcosa. E se doveva dire ad un alunno che aveva una bella calligrafia, diceva : “ Tu hai una bella grafia” poiché in greco (o latino nn saprei..) callis vuol dire bello quindi sarebbe stata una ripetizione e sarebbe stato come dire : “ Tu hai una bella bella grafia”. Ho sempre avuto una certa attrazione nei confronti dei preti. Ritengo che siano in assoluto le persone più indipendenti e senza condizionamenti. Almeno quelli con cui ho avuto a che fare io. Penso inoltre che Gesù Cristo sia stato il primo e il più grande rivoluzionario della storia. Mi piace pensare che sia esistito veramente, come Garibaldi,Gandhi, Martin Luther King o Mohammed Alì. Dire una frase del tipo: “Chi non ha peccato scagli la prima pietra” in un tempo dove non esisteva alcun diritto per le persone e dove la sete e il delirio di onnipotenza dei romani prevaleva su tutto, soprattutto sulla vita delle persone, trovo che sia molto rivoluzionario. Ad ogni modo Don Luigi era un prete atipico, nel senso che era molto devoto alla religione, ma era anche ben cosapevole di tutte le “magagne” della chiesa e della prepotenza di alcuni vescovi della curia, e non ne faceva certo un mistero. Per cui ci diventai amico fin da subito.

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Viveva accanto la chiesa di S.Domenico dove esercitava. Un pomeriggio lo andai a trovare con alcuni miei compagni, e dopo aver fatto un po’ di chiacchiere ci fece visitare la chiesa. Poi ci portò proprio dietro l’altare e ci fece vedere una botola che si trovava nel punto dove sta il prete quando dice la messa. Ci disse che passando da quella buca si poteva arrivare nei sotterranei dove c’erano i resti umani di centinaia di cadaveri. A suo dire si potevano vedere tutte le loro ossa. Io non ci credevo e conoscendolo pensai che volesse farci uno scherzo chiudendoci per qualche secondo nei sotterranei per farci paura. Ma quando scendemmo,vidi delle cataste di qualcosa che da lontano mi sembravano ossa umane. Nel frattempo il prete aveva chiuso la botola sopra di noi e aveva cominciato a suonare l’organo a canne. Ci furono urla pazzesche di ragazzini impauriti, le ragazze piangevano ed io per poco non mi cagai addosso. Quel giorno ebbi la prova, constatando su me stesso, che la paura quando è così forte ed improvvisa provoca una perdita di controllo totale del proprio corpo, fino ad espellere involontariamente i propri bisogni corporali.

Un giorno io e Roda ci trovavamo in centro città per la classica “vasca” del sabato pomeriggio, e decidemmo di andare a trovare Don Luigi. Suonammo il campanello ma non rispose. Poi vedemmo una cassetta di patate proprio di fronte la porta del suo appartamento. Non so come mai ci venne quell’idea, ma ad un tratto, da una finestra ben nascosta , che dava sulla centralissima via Cavuor, cominciammo a tirare le patate. A quell’ora e per di più di sabato la strada era piena di gente che andava per negozi. Nessuno riusciva a capire da dove potessero provenire quelle patate, e come due bambini deficienti continuammo a lanciarne un bel po’, fino a che non finimmo di svuotare la cassetta. Poi scendemmo in strada a vedere la scena, e vedemmo tutti i tuberi sfracellati per terra davanti l’entrata dei negozi e i proprietari che inveivano contro ignoti.

D’estate, io e Roda trovammo un passatempo meno dannoso per gli altri e sicuramente assai più divertente. Anni prima andavamo a suonare i campanelli dei palazzi per poi scappare quando gli inquilini venivano a rispondere.Ma ci eravamo un po’ stufati e non provavamo più soddisfazione, così studiammo qualcos’altro. Ci procurammo una macchina fotografica con tanto di flash e una sera ci venne l’idea di andare a fare delle foto “casuali”. Così come venivano e senza metterci a pensare al soggetto. Andammo in un quartiere vicino a casa nostra dove ci sono della case basse tutte al pian terreno, e visto il caldo dell’estate , con le finestre aperte. Arrivammo in quelle viuzze sulle nove di sera e cominciammo a “colpire”. Allungavamo il braccio dentro una finestra scelta a caso e scattavamo una foto, poi ce la davamo a gambe levate.

Lo facemmo per diverse sere fino ad esaurire un paio di rullini. Quando facemmo sviluppare le foto, la maggior parte erano da buttare perché completamente buie, ma alcune erano venute ed erano piuttosto interessanti. In una si vedeva una vecchia che faceva una maglia con i ferri, in un’altra un vecchio in canottiera che mangiava un piatto di cappelletti (quella era la più buffa perché si vedeva il tipo con gli occhi stralunati che guardava verso l’obiettivo, mentre portava la forchetta alla bocca) e un’ altra ancora dove si vedevano un paio di gambe femminili di traverso. Un altro passatempo che avevamo inventato era quello di andare a ridere davanti le vetrine dei negozi del centro. Quando non sapevamo cosa fare andavamo nella via dove c’erano i negozi di abbigliamento più importanti e più chic della città, e dopo avere osservato bene i prezzi scoppiavamo in grasse risate: “ Guarda di pantaloni” faceva lui “Costano trecentomila lire!” “E perché quel paio di scarpe?!” gli rispondevo io “Mezzo milione!” e giù a ridere. I passanti ci guardavano esterrefatti e non capiva il motivo delle nostre risate. Ma tutto ciò per noi era davvero esilarante. Il successo musicale del momento era “Body talk” degli “Immagination”. Con Roda ebbi anche le prime esperienze cinematografiche. Egli fin da piccolo, quando avevamo solo 15-16 anni era già informato sul cinema d’autore o comunque sui registi più bravi, e frequentavamo sempre il cinema Roma, un cinema di seconda visione.

Era molto bello quel cinema perché ogni giorno cambiava il film; il lunedì c’erano i film dell’orrore, il martedì le commedie e così via. Prima di iniziare a vedere lo spettacolo ci rifocillavamo di gommose, che sono quella specie di caramelle morbidose di varie forme (coccodrillini,ciliegine, coca cole ecc). Ne mangiavamo in quantità industriale.  Qui vidi per la prima volta “Taxi Driver.”Un giorno invitammo un nostro amico conosciuto da poco, e gli suggerimmo di mangiare le gommose come facevamo noi. Lui ci assecondò ingoiandone parecchie per tutta la durata del film, che era un film molto strano,si intitolava “Blood Simple” I registi erano i fratelli Coen. Ad ogni modo la notte stessa il nostro amico stette male, e il giorno dopo ci riferì che aveva vomitato tutte le gommose. Evidentemente non era tagliato per il cinema Roma.Quasi tutti i giorni, dopo pranzo, andavo a casa di Roda. Ci andavo perchè c’era sempre una certa allegria.Suo padre , era sempre in vena di battute e di risate. Così facevo due chiacchiere con i suoi sorseggiando un bicchiere di vino e leggendo “L’Unità” a scrocco.

A casa mia invece c’era tutta un’altra atmosfera . I miei genitori, molto cattolici, rendevano l’aria molto pesante. Mia madre parlava sempre delle sfighe degli altri, o della ricorrenza della morte di qualcuno, ed essere allegri e felici sembrava fosse un reato. Le sole parole che uscivano dalla bocca di mio padre,erano che la pasta era troppo cotta o che la carne era insipida. Oppure riprendeva mia madre perché doveva pulirsi bene le mani prima di aprire i cassetti, sennò lasciava tutte le ditate sui mobili. Tutti i giorni era di questa. Penso di aver visto mio padre sereno e spensierato solo nelle rare volte in cui l’ho visto senza mia madre. Non che i miei genitori facessero dei litigi veri e propri, ma c’era sempre qualcosa che non andava bene per cui si punzecchiavano in continuazione, come cane e gatto.  Secondo mio padre,inoltre, gli altri ragazzi del quartiere erano sempre e comunque migliori dei suoi figli.  Spesso capitava che mio padre si commuovesse guardando il telegiornale. E questo mi dava molto fastidio. Io avrei voluto parlare con lui di qualsiasi cosa, serenamente, ma lui continuava a guardare i fatti di cronaca alla Tv. Di conseguenza commuovendosi, l’atmosfera in cucina si faceva pesante, e io appena finito di mangiare correvo in camera mia. Oppure andavo da Roda.

Durante il catechismo, il mio insegnante un giorno mi riprese con una certa severità perché “molestavo” le mie compagne, nel senso che cercavo di baciarle. Così all’improvviso. Anche quelle che non conoscevo. In quel periodo mi ero guadagnato il soprannome di “ limonatore folle” . Mi aggiravo per la chiesa e baciavo in bocca tutte le ragazze che mi piacevano. Poi scappavo e spesso sentivo le femmine che confabulavano tra loro dicendo : ..”Scappiamo! C’è il limonatore folle!”.

Questo mio insegnante, che era un uomo brizzolato sui quarant’anni, un giorno mi fece una ramanzina chilometrica. Mi prese in disparte come fossi un ladro e cominciò a parlarmi. Mi disse che non dovevo comportarmi così. Che se proprio volevo baciare una ragazza ,dovevo prima conoscerla, frequentarla e farle capire che mi piaceva solo lei, e non dovevo saltare addosso a tutte in quel modo. Ma io avevo una gran fretta di provare le mie esperienze. Non potevo certo stare lì a raccontare la storia della mia vita. E poi mi piacevano tutte.Se non fosse che mi piacciono così tanto le donne, con tutte le volte che mio padre o gli insegnanti di religione mi hanno redarguito per i miei comportamenti “libertini”,con la testa che ho sarei anche potuto diventare omosessuale.

Ad ogni modo questo mio insegnante mi fece una grossa lavata di capo,che io presi come un’umiliazione. Ma egli a forza di frenare i suoi istinti sessuali per tutta la sua vita, deve averne subito le conseguenze: un paio di anni fa infatti, lessi su un quotidiano locale, che fu colto in fragrante dopo varie denuncie di alcuni ragazzini.

Lo trovarono nel suo ufficio con i pantaloni calati di fronte ad un suo alunno.

Comunque non c’era niente al mondo che potesse frenare i miei istinti sessuali.La prima volta che vidi un giornale pornografico , fu come se avessi visto la Madonna!  Quelle foto di nudità promiscua mi trasmettevano una grande sensazione di libertà assoluta. Decisi immediatamente che da grande avrei fatto l’attore porno.  Poi il mio rapporto con la pornografia cambiò negli anni. Il sesso fatto così liberamente e magari con più partners contemporaneamente, trovo sia qualcosa di straordinario,e non penso che sia squallido per via del fatto che si tratta di sesso senza sentimento, ma farlo davanti ad una telecamera lo trovo semplicemente triste. Quando avevo 15 anni non esisteva il videoregistratore, o comunque non era di uso comune. Sentivo dire che esistevano il film pornografici ma essendo minorenne non avevo la possibilità di andarli a vedere al cinema. Anche se l’idea mi attirava molto.

Più che altro non credevo al fatto che esistessero dei film dove uomini e donne facevano sesso e si poteva vedere tutto. Proprio tutto. Avevo visto qualcosa ma solo sulle riviste. Mentre dei corpi nudi , al massimo li vedevi nei filmetti erotici dell’epoca, le classiche commedie all’italiana degli anni ‘80 con Lino Banfi e le “Bonazze” di turno tra cui Gloria Guida,Anna Maria Rizzoli e Carmen Russo. Ma devo dire che fra tutte le attrici in circolazione, nessuna poteva neanche lontanamente avvicinarsi alla più grande di tutte e della quale sono stato innamorato per almeno dieci anni: Edwige Fenech. A tutt’oggi penso che la Fenech sia la donna più bella del mondo. Soprattutto i suoi seni sono i più belli che le mie pupille abbiano mai potuto ammirare. Non solo per la loro forma semplicemente perfetta,ma anche per quel loro colorito rosa chiaro. Un rosa Fenech. Ad ogni modo la prima volta che vidi un film porno non fu nè al cinema, né in videocassetta, ma in televisione. Proprio così! Per un periodo che durò circa un mese, verso le tre e mezza quattro della notte, una TV locale piuttosto nota nella mia zona , interrompeva le trasmissioni per trasmettere film altamente pornografici. Così si sparse ben presto la voce, e un venerdì notte provai a guardare anch’io.  Ed era proprio vero perché a notte fonda, quasi mattina, d’un tratto i programmi si interrompevano. Per qualche secondo nello schermo non si vedeva più niente, solo delle righe orizzontali come quando l’antenna non è collegata.  Poi appariva di colpo una scena hard di un film già cominciato, dove un uomo e donna facevano sesso . Il giorno dopo commentando con gli amici ne deducemmo che la Tv locale si collegava con una Tv dell’est europeo che trasmetteva film pornografici (Tele Slovenia) e tutto questo durò un mese, nel quale tutti i venerdì di ritorno dalla discoteca, ognuno di noi, a casa sua e nella sua intimità puntava il televisore sul canale hard , e l’eccitazione che caratterizzava l’attesa era molto simile a quella che si prova alla vigilia di una finale di coppa Intercontinentale.

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Grazie a Roda mi avvicinai anche alla musica. I suoi genitori “consumavano” molta musica e cinema, e a casa sua vedevo spesso dei dischi di PaoloConte,De André, De Gregori,Finardi ecc. A casa mia invece si ascoltava solo Renato Zero che piaceva a mia sorella grande.  Fu così che conobbi gli SKIANTOS, e per me fu una vera e propria folgorazione. Si diceva che suonassero musica “demenziale”, ma per me non era una sorta di penalizzazione , anzi trovavo quelle canzoni un misto di ironia ed intelligenza. A dire il vero avevo già sentito una loro canzone. Un giorno mi accorsi che nel juke box dello stabilimento balneare che frequentavo a Marina di Ravenna ,c’era una canzone di un gruppo con un nome assai curioso. Soprattutto il titolo mi attirava: “Mi Piaccion le sbarbine”. Mi feci dare degli spiccioli da mio padre e l’ascoltai. Mi piacque fin da subito e cominciai a metterla su in continuazione e mentre ascoltavo quella musica i clienti dello stabilimento mi guardavano come fossi diverso da loro.

Per farla breve dopo alcuni giorni di rotazione pressoché continua di “Mi piaccion le sbarbine” il gestore prelevò il disco a 45 giri dal juke box e me lo regalò a patto che non l’avessi più selezionato.

La prossima settimana il Capitolo 5

“Le superiori”