Palle cinesi – la mia autobiografia 6 Capitolo

Nel 2004, ho scritto la mia auotobiografia. L’intenzione era quella di parlare delle tante esperienze sul palco, e di tutto ciò che ruota attorno al mondo della musica, ma scrivendolo mi sono accorto di avere molti argomenti della mia vita privata che avrebbero potuto interessare alle persone che mi seguono ed ho voluto condividerli con loro.

“Palle cinesi”, così si chiama il libro (Allori ed.) parla della mia vita e delle mie esperienze da quando ero bambino fino a quando ho fondato la band.

Per ragioni di privacy alcuni nomi sono stati cambiati con nomi di fantasia.

“Conosco e sono amico di Titta da tempo. Con lui e la sua musica ho passato tanti momenti piacevoli da arrivare egoisticamente a considerarlo un menestrello quasi privato,come se cantasse solo per me e si dedicasse solo al mio divertimento. Mai però avrei pensato che la sua sfrontatezza e la voglia di mettersi a nudo l’avrebbe portato a regalarci la storia della sua vita. Una storia di piccole storie,di gente comune lontana dal passaggio dei grandi eventi.Una vera e propria autobiografia. Simpatica e gradevole. Densa di episodi vissuti,ricordi semplici e forse apparentemente insignificanti, ma veri,come vero e pieno è il suo bisogno di mettersi alla prova e di vivere esperienze sempre nuove. Raccontare di sè è un momento importante,una dichiarazione dei propri sentimenti e stati d’animo che serve a capire meglio se stessi e aiuta gli altri a comprenderci. Impone un lavoro di recupero e trasmissione della memoria,che significa entrare nell’intimo dei ricordi e del proprio vivere quotidiano. A costo di riportare a galla anche episodi dolorosi del proprio vissuto. E’ un segno di grande generosità e vi ritrovo appieno il Titta che conosco”.

(Enrico Laghi)

CAPITOLO 6

“Goliardia”

Con Roda fondai il “club dei miserabili”. Ci recavamo alle feste che organizzavano i ragazzi della scuola e praticamente andavamo là per rovinarle. Andavamo alle feste solo per mangiare a più non posso e a scroccare il più possibile. Avevamo un informatore, Bentini, che conosceva molta gente , e sapeva dirci sempre quando c’era una festa, che nella maggior parte dei casi veniva organizzata a casa di qualcuno. Così quando arrivavamo e suonavamo il campanello,spesso anche a casa di gente mai vista prima, gli organizzatori erano terrorizzati e cominciavano a dire tra loro: “Si salvi chi può, ci sono i Miserabili!”

Alla festa di capodanno demmo il meglio di noi , infatti dopo quella sera il gruppo si sciolse perchè avevamo veramente superato noi stessi ed era come aver raggiunto un traguardo.

La dritta ce l’aveva data sempre Bentini, e ci aveva detto che una sua compagna di classe organizzava la festa. Stranamente la ragazza non conosceva la nostra negativa reputazione che ci eravamo guadagnati nell’arco di pochi mesi, ed accettò la nostra partecipazione. Ci presentammo alle 22.00 del 31 Dicembre del 1986.

Alle 23.00 non c’era più niente da mangiare. “Il club dei miserabili”, che era composto da sette persone, in unora fece fuori tutti i tramezzini e le torte che avevano preparato i genitori degli altri ragazzi , e si erano scolati tutte le bottiglie di spumante che erano state nascoste dietro una dispensa, e che servivano per brindare alla mezzanotte.

La ragazza che organizzava la serata, d’un tratto fece spegnere la musica e fece un annuncio al microfono. “Gli amici di Bentini, meglio noti come i “miserabili”, sono pregati di andarsene immediatamente da questa festa!”.  Subito ci furono fischi e boati di disapprovazione da parte nostra, e cercammo di giustificarci in qualche modo, anche perchè oramai si erano fatte le 23,30 e a quell’ora sarebbe stato davvero impossibile trovare un’altra festa prima della mezzanotte.  Ad ogni modo dopo qualche diverbio, l’organizzatrice disse che anche se ci eravamo comportati come dei cafoni e dei villani, avevamo comunque animato la festa, e che in fondo le stavamo simpatici.

Così ci chiese le nostre scuse ufficiali, che subitamente presentammo, e ci disse che potevamo restare.

Una mattina a scuola non mi sentivo tanto bene, pensai che fossi ancora un pò frastornato per la festa dell’ultimo dell’anno, per via di quello che avevo bevuto. Ma poi mi resi conto che non poteva essere quello, poiché mi girava la testa. I muri della classe cominciarono a girarmi intorno e non capivo quello che stava per succedermi. Poi cercai di alzarmi per andare in bagno ma non ce la facevo. La testa mi girava troppo. Mi rimisi a sedere e ad un tratto cominciai a vomitare. Telefonarono a casa e mio padre venne a prendermi. All’inizio non diedi troppa importanza alla cosa, pensavo che potesse essere stato un colpo di freddo o un virus influenzale. Ma gli attacchi di vertigini con conseguente vomito cominciarono a verificarsi abbastanza spesso.

Così fui ricoverato e dopo qualche settimana i medici mi dissero che avevo la labirintite, una malattia che attacca il labirinto dell’orecchio. Poi venne diagnosticata come sindrome di Menière. Ma questo Meniére aveva soltanto scoperto la malattia, e non come curarla. Scoprii in seguito che non è molto diffusa, anzi è piuttosto rara, ed io che non mi sono fatto mai mancare niente in fatto di infortuni, mi beccai anche quella. Il periodo acuto della malattia, dove avevo i capogiri pressoché tutti i giorni durò un mesetto. Per guarire definitivamente ci misi due anni. Capitava che una volta al mese, così da un momento all’altro avevo un attacco di vertigini con vomito. E tutto ciò era piuttosto pericoloso, poiché di lì a poco avrei cominciato il corso di scuola guida per prendere la patente.

Alla fine non ebbi più capogiri, e la malattia passò del tutto, causandomi però una notevole perdita di udito all’orecchio sinistro, e un acuféne continuo.

L’unico fatto positivo è che a causa di quel disturbo non feci il militare.

La prossima settimana il capitolo 7

“Il primo amore”