Palle cinesi – la mia autobiografia 7 Capitolo

Nel 2004, ho scritto la mia auotobiografia. L’intenzione era quella di parlare delle tante esperienze sul palco, e di tutto ciò che ruota attorno al mondo della musica, ma scrivendolo mi sono accorto di avere molti argomenti della mia vita privata che avrebbero potuto interessare alle persone che mi seguono ed ho voluto condividerli con loro.

“Palle cinesi”, così si chiama il libro (Allori ed.) parla della mia vita e delle mie esperienze da quando ero bambino fino a quando ho fondato la band.

Per ragioni di privacy alcuni nomi sono stati cambiati con nomi di fantasia.

“Conosco e sono amico di Titta da tempo. Con lui e la sua musica ho passato tanti momenti piacevoli da arrivare egoisticamente a considerarlo un menestrello quasi privato,come se cantasse solo per me e si dedicasse solo al mio divertimento. Mai però avrei pensato che la sua sfrontatezza e la voglia di mettersi a nudo l’avrebbe portato a regalarci la storia della sua vita. Una storia di piccole storie,di gente comune lontana dal passaggio dei grandi eventi.Una vera e propria autobiografia. Simpatica e gradevole. Densa di episodi vissuti,ricordi semplici e forse apparentemente insignificanti, ma veri,come vero e pieno è il suo bisogno di mettersi alla prova e di vivere esperienze sempre nuove. Raccontare di sè è un momento importante,una dichiarazione dei propri sentimenti e stati d’animo che serve a capire meglio se stessi e aiuta gli altri a comprenderci. Impone un lavoro di recupero e trasmissione della memoria,che significa entrare nell’intimo dei ricordi e del proprio vivere quotidiano. A costo di riportare a galla anche episodi dolorosi del proprio vissuto. E’ un segno di grande generosità e vi ritrovo appieno il Titta che conosco”.

(Enrico Laghi)

CAPITOLO 7

“Il primo amore”

Nel 1987 lavoravo in una grande officina meccanica in qualità di aiutante tubista. Dopo le superiori che non avevo concluso, poiché fui bocciato al terzo anno, mio padre mi suggerì di fare un corso di tubista industriale, pensando che fossi più portato per la meccanica che per la cucina. Il tubista si occupa di assemblare i tubi di ferro o d’acciaio che formano delle linee in cui passano vari prodotti ; metano, gas, ecc. Finito il corso,che durò due anni,iniziai a lavorare presso una ditta della mia città.

In quel periodo stavamo lavorando per conto dell’ Agip , ed i tubi, una volta finito il lavoro in officina, dovevano essere trasportati su una piattaforma, al largo del mare adriatico. Io ero appunto aiutante tubista. Ogni operaio specializzato aveva un aiutante e in quel periodo ero in coppia con un tale di nome Petrini.

Petrini aveva 60 anni ed era prossimo alla pensione. Aveva due baffoni completamente bianchi e fumava il sigaro. Nella sua cassa portautensili, dove conservava gli attrezzi da lavoro, anni prima aveva attaccato delle foto in bianco e nero raffiguranti alcune donne nude, ritagliate da qualche rivista dell’epoca, ma ora le foto erano sbiadite e un pò ingiallite, ed io spesso gli dicevo: Carlo, perché non le cambi quelle foto? Non vedi che sono tutte rovinate? E poi quelle modelle adesso avranno 70 anni!!” Ma egli diceva che le avrebbe portate con sé fino alla pensione, ormai si era affezionato.

Il lavoro in officina non era malvagio, a parte il fracasso che emettevano gli attrezzi che usavamo. Si lavorava tutti con il ferro per cui i colpi di martello e le mole elettriche facevano un gran baccano. L’ambiente era sano, nel senso che c’era molta solidarietà tra di noi, e gli “anziani” si facevano in quattro per insegnare il mestiere a noi giovani. Però era un ambiente prettamente maschile, per via del lavoro molto faticoso. Pertanto durante le otto ore di lavoro non vedevo mai una donna.

Solo qualche volta veniva una ragazza, una geometra, in compagnia dell’ingegnere che si occupava del progetto della piattaforma per fare dei rilevamenti e per vedere come procedevano i lavori. Non era molto bella, era piuttosto bassa e grassoccia, e se l’avessi vista in giro per la città non l’avrei degnata neanche di uno sguardo. Ma in quell’ambiente dove passavo la maggior parte del mio tempo, e dove l’aria era pesantemente maschile, simile a quella di una caserma militare, mi appariva come una gran figa. Una mattina, verso le dieci, mentre stavo saldando, la vidi di nuovo ed istintivamente cominciai a fare dei pensieri erotici su di lei. Dopo una ventina di minuti mentre era ancora davanti a me che si consultava con l’ingegnere parlando di lavoro, la mia eccitazione salì notevolmente, e dovetti andare al bagno a masturbarmi.

Il giorno del mio diciottesimo compleanno , ad una festa organizzata da alcuni ragazzi che frequentavano il liceo classico, conobbi una ragazza. A dire il vero l’avevo già notata qualche settimana prima ad una festa “metallara” che avevamo organizzato noi. Durante la serata si sparse la voce che una ragazza avrebbe fatto lo spogliarello. Io non sapevo chi era, e pensavo fosse uno scherzo.  Chi avrebbe avuto il coraggio di spogliarsi davanti ad un branco di assatanati come noi? Ed Invece verso mezzanotte qualcuno spense le luci, e mise su la colonna sonora di “9 settimane e 1/2”. Poi una ragazza molto esile, ma carina e ben fatta fisicamente cominciò a ballare ammiccando verso i presenti con varie mosse osé, e cominciò a togliersi gli indumenti con molta grazia finendo lo “show” in reggiseno e mutandine. Trovai la cosa molto divertente, e rimasi positivamente colpito. Pensai che quella ragazza oltre ad essere molto carina aveva un gran senso dell’umorismo. Così alla festa successiva quando la rividi, cercai di conoscerla, e con una scusa banale cominciai a parlare con lei.  Non le dissi però che avevo visto il suo spogliarello, il sabato prima. Non volevo metterla in imbarazzo. Ad ogni modo cominciammo a parlare e a conoscerci. Era la classica situazione in cui un gruppo di brave ragazze di buona famiglia, che frequentavano tutte il liceo classico, provavano attrazione verso dei ragazzi capelloni che schitarravano come forsennati ascoltando musica Heavy Metal a tutto volume.

E noi ragazzi capelloni provavamo attrazione verso le ragazze di buona famiglia.

Parlai tutta la sera con lei, e mi resi conto quasi subito che mi piaceva da matti. Aveva un modo di fare molto elegante, e soprattutto indossava una minigonna molto sexy e le calze con la riga di dietro. E questo mi attraeva , poiché le “nostre” ragazze del gruppo indossavano sempre e solo i jeans. Alla fine della festa le chiesi se potevamo rivederci, e che mi sarebbe piaciuto molto parlare ancora con lei. Mi disse che avrei potuto accompagnarla a prendere la bicicletta che aveva lasciato a casa della sua amica che distava poco meno di un chilometro. Non me lo feci ripetere e l’accompagnai. Quando arrivammo alla casa della sua amica, ci salutammo dandoci un bacio sulla guancia. Le chiesi quando potevo rivederla e lei mi disse che ci saremmo sicuramente rincontrati ad una festa successiva. L’indomani però pensai che non c’era nessuna festa in programma, così mi rivolsi ai miei amici per organizzarne una. Volevo rivedere quella ragazza al più presto. Non avevo il suo numero di telefono, non sapevo dove abitava, e chissà quando ci sarebbe stata un’altra festa, per cui non sapevo come rintracciarla. Poi mi venne un’idea molto semplice.  Chiamai Andrea , un suo compagno di classe e mio amico e gli dissi se poteva portarle i miei saluti.

Egli mi disse che l’avrebbe fatto, ed un paio di giorni dopo quando lo rincontrai mi riferì che lei ricambiava i saluti e che le stavo molto simpatico. Allora gli dissi di dirle che avevo voglia di rivederla e di fare altre due chiacchiere con lei, e dissi ad Andrea che avevo intenzione di vederla il sabato pomeriggio in piazza, gli chiesi praticamente di fissarmi un appuntamento. Lei accettò.

Quel sabato fu una giornata tragicomica, ma fu l’inizio della mia prima storia d’amore. Ci incontrammo verso le cinque di pomeriggio. Ci salutammo molto tranquillamente, senza imbarazzi, e ci sedemmo sui gradoni di marmo delle colonne della piazza. Qualche minuto prima però, avevo avvertito un leggero giramento di testa e sentivo che mi stava per arrivare un attacco di labirintite. Ma non dissi niente con lei, era troppo importante che noi due fossimo lì in quel momento, e temevo che se glielo avessi detto avrebbe cercato di sospendere e di rimandare tutto. Ma mentre parlavamo i capogiri aumentavano e alla fine dell’incontro la mia vista tendeva a sdoppiare le cose. Mi girava la testa e sentivo la nausea allo stomaco che preannunciava il vomito, ma riuscii a tenere duro, e d’un tratto, così istintivamente, senza che l’avessi programmato prima, le chiesi se voleva diventare la mia ragazza.

Mi rispose che ci doveva pensare.

Dopo una settimana era in programma una festa “metallara” . Lei sarebbe sicuramente venuta con le sue amiche, che oramai frequentavano il nostro gruppo. Così quel sabato sera sarebbe arrivato il giorno della verità. Io ero abbastanza tranquillo e sicuro, sentivo che tra di noi c’era affinità, e riuscivo quasi sempre a capire quando piacevo ad una ragazza, ma quel “Ci devo pensare” mi lasciò un pò dubbioso. I dubbi svanirono durante la serata e ci baciammo per tutta la durata della festa. Cominciai a sentire subito un forte sentimento nei suoi confronti che solamente dopo pochi giorni si trasformò in amore. E la cosa era reciproca. Non mi ero mai innamorato fino a quel momento ed era come se mi fosse passato sopra un tram. Ero stravolto. Ma di piacere. Anche lei provava gli stessi sentimenti nei miei confronti, e cominciammo a stare sempre “appiccicati” ogni volta che ci vedevamo. Quando non ci si vedeva era come se ci mancasse l’aria, e quando ci incontravamo dandoci appuntamento in piazza, ci abbracciavamo e non ci staccavamo più, fino a che non giungeva l’ora di rincasare.  Anche lei provava un forte scombussolamento, che non aveva mai provato prima, tanto che suo padre se ne accorse, e un giorno la seguì per vedere chi era il ragazzo per cui si era presa una sbandata del genere. Ma quando vide che stava con me, al suo ritorno a casa le disse che non avrebbe più dovuto vedermi. Il fatto di avere i capelli lunghi, l’orecchino e il giubbotto di pelle nero con le borchie, alla vista dei suoi genitori mi classificava come un “soggetto da evitare”.

Cominciò così un’infinita serie di fughe e sotterfugi, dove cercavamo di vederci come potevamo, e la cosa ancor più dolorosa era che non potevamo neppure sentirci per telefono. Così i primi tempi comunicavamo attraverso i nostri amici; io le mandavo dei messaggi tramite Andrea e lei mi rispondeva per mezzo di Serena. L’obbiettivo dei suoi genitori era quello di costringerci a non vederci più, ma nelle nostre teste a tutto pensavamo tranne al fatto di lasciarci. Il non vederci più era un eventualità che a nessuno di noi due sarebbe mai venuta in mente.  Ad ogni modo questo fatto ci turbò solo all’inizio, poi accettammo la cosa e continuammo a vederci come una qualsiasi coppia felice, e il nostro amore cominciò a crescere.

Io non ero mai stato così bene con una ragazza. Le occasioni precedenti in cui mi era capitato di “avvicinarmi” al gentil sesso, era sempre successo che alla fine mi ero allontanato, e quando era il momento di andare fino in fondo ero sempre scappato. Con lei invece fu tutto il contrario, mi trovai da subito a mio agio. Evidentemente era quella giusta. Mi piaceva perché aveva un’aria da finta stupida, e chi non la conosceva poteva anche farsi un’idea sbagliata di lei. Ma era molto intelligente. E mi piaceva assai fisicamente. Lei si dispiaceva di avere poco seno ma a me non importava, poichè per le donne vige una legge non scritta, ma che io ho teorizzato ed ho trovato conferma negli anni: le donne che hanno poco seno in genere hanno un gran bel fondoschiena. E lei confermava la regola, aveva un culo da favola!

Aveva il naso un po’ pronunciato, un pò aquilino, che io ho sempre trovato molto sexy in una ragazza, e spesso si lamentava dicendo che alcune cose della sua fisionomia non le piacevano, diceva di aver le caviglie troppo grosse. Ma io, che ero ancora vergine e desideroso di avere le mie prime esperienze sessuali complete, le caviglie non sapevo nemmeno cosa fossero!

Io continuavo a lavorare in officina, e lei a studiare, e quasi tutti i pomeriggi verso le cinque ci incontravamo nel centro della città. Dopodiché cominciavamo a baciarci attaccandoci come due ventose e non ci staccavamo più fino alle sette. Una mattina mentre lavoravo, il capo officina mi chiamò e mi disse che l’azienda stava cercando alcuni ragazzi oltre ad alcuni operai specializzati, che fossero disponibili ad andare a lavorare in piattaforma. Lavorare su una piattaforma significava stare in mezzo al mare per una decina di giorni per poi tornare a casa e ripartire di nuovo dopo due. Io mi ero appena fidanzato e solo all’idea di stare via tutto quel tempo mi veniva male. Ma ero stato assunto da poco e non ebbi il coraggio di dire di no, anche perché il mio capo mi fece capire che ero praticamente obbligato ad andarci. Quando la vidi le dissi della storia della piattaforma e lei ci rimase un pò male, ma notai che era in qualche modo già mentalmente preparata al fatto che non ci saremmo visti per un bel pò.

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Mi disse che aveva ricevuto una lettera da una scuola di Londra dove la informavano che avevano accettato la sua domanda per uno stage di un mese in Inghilterra, per imparare la lingua. Sarebbe dovuta partire ai primi di Luglio. Per cui la situazione era la seguente: io partivo per primo per andare in piattaforma, ma al mio ritorno non l’avrei vista poiché lei sarebbe partita per l’Inghilterra. Praticamente non ci saremmo visti per un totale di cinquanta giorni, ed arrivò tutto così, all’improvviso. Come arrivò il nostro amore.

La prossima settimana il capitolo 8

“Cosa non si fa per amore”