Palle cinesi – la mia autobiografia 8 Capitolo

Nel 2004, ho scritto la mia auotobiografia. L’intenzione era quella di parlare delle tante esperienze sul palco, e di tutto ciò che ruota attorno al mondo della musica, ma scrivendolo mi sono accorto di avere molti argomenti della mia vita privata che avrebbero potuto interessare alle persone che mi seguono ed ho voluto condividerli con loro.

“Palle cinesi”, così si chiama il libro (Allori ed.) parla della mia vita e delle mie esperienze da quando ero bambino fino a quando ho fondato la band.

Per ragioni di privacy alcuni nomi sono stati cambiati con nomi di fantasia.

“Conosco e sono amico di Titta da tempo. Con lui e la sua musica ho passato tanti momenti piacevoli da arrivare egoisticamente a considerarlo un menestrello quasi privato,come se cantasse solo per me e si dedicasse solo al mio divertimento. Mai però avrei pensato che la sua sfrontatezza e la voglia di mettersi a nudo l’avrebbe portato a regalarci la storia della sua vita. Una storia di piccole storie,di gente comune lontana dal passaggio dei grandi eventi.Una vera e propria autobiografia. Simpatica e gradevole. Densa di episodi vissuti,ricordi semplici e forse apparentemente insignificanti, ma veri,come vero e pieno è il suo bisogno di mettersi alla prova e di vivere esperienze sempre nuove. Raccontare di sè è un momento importante,una dichiarazione dei propri sentimenti e stati d’animo che serve a capire meglio se stessi e aiuta gli altri a comprenderci. Impone un lavoro di recupero e trasmissione della memoria,che significa entrare nell’intimo dei ricordi e del proprio vivere quotidiano. A costo di riportare a galla anche episodi dolorosi del proprio vissuto. E’ un segno di grande generosità e vi ritrovo appieno il Titta che conosco”.

(Enrico Laghi)

CAPITOLO 8

“Cosa non si fa per amore”

Si era ormai vicini alle rispettive partenze. Io sarei dovuto partire a fine Giugno, lei inizio Luglio. Rimanemmo d’accordo che ci saremmo scritti, poichè telefonare dalla piattaforma era assai complicato.

La vita sulla piattaforma non era poi così male. La giornata di lavoro durava dodici ore, ma non c’era nient’altro da fare, per cui tanto valeva lavorare, così avrei guadagnato di più. E poi il giorno era frammentato da alcune pause dove noi operai sospendevamo il lavoro per andare nella sala ristorante per fare uno spuntino. Molti pensano che la vita della piattaforma sia come quella di un carcere, ma non è così. Certo stai sempre in mezzo al mare e per diversi giorni non hai contatto col mondo esterno e le donne le vedi solo in televisione. Ma le comodità non mancano. Anzitutto c’è il personale che si occupa delle pulizie, per cui c’è sempre qualcuno che ti cambia le lenzuola e ti rifà il letto ogni giorno come in un albergo. Inoltre la cucina è gestita da cuochi professionisti per cui si mangia come in un qualsiasi ristorante della città. Se non fosse perché morivo dalla voglia di vedere la mia ragazza, avrei apprezzato di più quell’estate in piattaforma.

E poi una sera in sala TV vidi uno dei miei film preferiti: “Shakespeare a colazione”.

Ad ogni modo cominciai a socializzare con gli altri operai,e conobbi e uno che aveva fatto la comparsa in un film con Paolo villaggio che si chiamava “Il bel paese” che era stato in parte girato su quella piattaforma. I casini non mancavano, nel senso che quelli che erano da più tempo lontano da casa cominciavano a sentire la mancanza della moglie e soprattutto del sesso. Giravano riviste porno, ma pensavo che leggerle sarebbe stato peggio, sarebbe stato come farsi del male, e poi io ero innamorato e mi trovavo in uno stato celestiale , di conseguenza non mi interessava il sesso fatto così crudamente. Una mattina successe un gran casino perché beccarono in sala macchine Sgarbi che faceva un bocchino a Stucchi durante le ore di lavoro. La sera stessa ci fu una riunione dei capi che alla fine decisero di far cadere la cosa, e di non denunciare il fatto ai “piani superiori”, ma Sgarbi e Stucchi si licenziarono per la vergogna e tornarono a casa con il primo elicottero. Io lavoravo in coppia con Vendemmiati. Gli aiutanti erano: Bissi, Cetaceo e Ortolani. Poi c’era un tipo che nonostante fosse un operaio semplice, aveva un’intelligenza fuori dal comune. Era un vero e proprio genio della matematica e dei rompicapi. Durante il lavoro radunava tutti e ci espletava un rompicapo da risolvere. Erano quasi sempre quesiti matematici, ma erano assai curiosi anche perché ce li spiegava ad arte, e quasi sempre tutti morivano dalla voglia di sapere la soluzione, poiché il livello intellettivo di noi operai non era il massimo. E lui si divertiva a farci incazzare.  Ma un giorno Fiorone, un energumeno alto quasi due metri lo prese per il collo e lo attaccò al muro minacciandolo di spaccargli la faccia se non gli avesse svelato la soluzione.

Più passavano i giorni e più la mia lei mi mancava. Non riuscivo a darmi pace pensando al fatto che non l’avrei vista per più di un mese. Poi una mattina durante una pausa, ero seduto in sala mensa vicino a Vendemmiati , che aveva più o meno la mia età, ma siccome era più esperto di me in materia, gli chiesi che cosa sarebbe successo nel caso in cui avessi subìto un infortunio durante le ore di lavoro. Egli mi rispose che se si fosse trattato di una cosa piuttosto seria, il dottore mi avrebbe mandato a casa durante tutta la durata della convalescenza. Pensai che se fosse successo a me sarei potuto tornare in tempo in città prima che lei partisse e avrei potuto riabbracciarla e starcene un po’ insieme.  Ma come potevo fare? Mica potevo farmi male apposta! Finita la pausa ripresi il lavoro, ma questo fatto dell’infortunio mi era entrato in testa e non riuscivo a mandarlo via, più ci pensavo e più vedevo concretizzarsi l’idea di tornare a casa. Andai a pranzo pensando sempre alla stessa cosa. Poi nel pomeriggio, realizzai la cosa in me e decisi che mi sarei fatto male da solo e avrei raccontato che era successo accidentalmente. Però dovevo decidere in che modo farlo. Avevo conosciuto dei tipi che per non fare il servizio militare si erano rotti un braccio o una gamba da soli. Ma mi sembrava un po’ eccessivo e pensai che doveva pur esserci un altro modo meno traumatico. Così andai in bagno, mi accesi una sigaretta e cominciai a pensarci. Dopo cinque minuti capii che la soluzione era semplicissima.  Misi il pollice della mano sinistra in mezzo alla porta del bagno e con la destra chiusi la porta più volte, sempre più forte lasciando il dito sinistro sempre fermo, fino a che non lo vidi gonfiarsi. Poi sentii un dolore fortissimo e a quel punto tornai al mio posto di lavoro e comincia ad usare il martello. Dopo alcuni colpi mi fermai e andai da Vendemmiati. Gli dissi che mi ero fatto male colpendomi con il martello sul dito, ed egli mi disse di andare a farmi visitare dal dottore. Il medico vide subito il gonfiore, capì che la cosa era piuttosto seria e che avrei dovuto fare una radiografia che in piattaforma non era possibile fare. Così compilò il certificato e mi spedì al pronto soccorso sulla terra ferma.

Ce l’avevo fatta! Ero riuscito a tornare a casa, e avrei rivisto la mia ragazza. Quando le feci sapere tramite Serena che ero in città, e che avremo potuto vederci,lei non ci credeva. Ci accordammo per vederci nel pomeriggio. Quello fu probabilmente il giorno più bello della nostra storia. Poi dopo aver trascorso tutta la settimana insieme, io stetti a casa ancora qualche giorno per finire la convalescenza, dopodiché tornai in piattaforma e lei partì per l’Inghilterra. Durante la sua permanenza oltremanica però, dopo un po’ di giorni mi rendevo conto che qualcosa stava cambiando. Quando ci sentivamo per telefono la sentivo molto distante da me, e non solo perché si trovava a migliaia di chilometri dall’Italia. Con l’andare dei giorni stava nascendo nella mia testa il sospetto che avesse conosciuto un altro, infatti dopo dieci giorni non mi chiamò quando sarebbe dovuto toccare a lei.  Provai a chiamarla io ma la signora Londinese che la ospitava mi disse che era uscita. Io ero sempre più sospettoso e più incazzato. Anzi più che incazzato ero dispiaciuto. Una sera, appena rientrato dalla piattaforma, qualche giorno prima che tornasse, andai in una vecchia osteria per stare un da solo e bere qualche bicchiere di vino per non pensarci. Ad un tratto alzai gli occhi e vidi fissate ad una parete, un paio di corna di toro che erano state messe dentro una curva di ferro da 4 pollici. Era lo stesso tipo di curva che saldavo io tutti i giorni al lavoro. E la cosa più incredibile è che tutte le volte precedenti che ero stato in quella osteria non avevo mai fatto caso a quelle corna. C’ero stato più di cento volte prima, ma non le avevo mai viste. Ad ogni modo arrivò il giorno in cui lei sarebbe tornata dall’Inghilterra, ed io ero pronto a farle il terzo grado. Volevo sapere tutto quello che aveva fatto.

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Prima di incontrarci in piazza come al solito, passai da un negozio di dischi e comprai un disco metal, poi quando la vidi le chiesi subito se mi aveva tradito. Lei disse di no, ma i suoi occhi mentivano. Diceva che mi voleva bene e che non era successo niente, e che avremmo continuato la nostra storia, e che mi amava più di prima, ma io non ero convinto. Ero sicuro che era stata con un altro. Me lo sentivo. Così le dissi che volevo semplicemente conoscere tutta la verità e che anche se fosse stata con un altro ero pronto a perdonarla, a patto che mi dicesse tutto. Non volevo essere preso in giro. Riuscii a convincerla e lei mi confessò che aveva conosciuto un ragazzo inglese e che si erano messi insieme per tutta la sua permanenza in Inghilterra, ma che si erano solamente dati qualche bacio e niente più. Ma quella fu la cosa che mi ferì maggiormente. Avrei capito se mi avesse tradito innamorandosi di un altro, ma rischiare di mandare all’aria tutta la nostra storia per qualche bacio, mi sembrò un comportamento da stronza e più che altro da troia.  Dal nervoso spaccai il disco dei “Twisted sister” e la salutai dicendole che non volevo vederla mai più. A quel punto lei cominciò ad inveire nei miei confronti, mi dava dello stronzo poiché le avevo mentito, in quanto le avevo promesso che l’avrei perdonata se mi avesse detto la verità. Ma io ero troppo ferito e non volevo più vederla. Anche se dentro di me non avevo la più pallida idea di come avrei fatto. Comunque passarono i giorni. Io mi calmai, e a poco a poco cresceva in me l’idea di perdonarla. Non riuscivo a stare senza di lei, ne ero troppo innamorato, ormai c’ero dentro fino al collo.  Ed avevo saputo dalle sue amiche che lei era innamorata come prima e che era pronta a rimettersi con me. Così alle feste successive cominciai a riavvicinarmi a lei, quasi subito la perdonai e ci rimettemmo insieme. I mesi che seguirono però non furono memorabili come i precedenti. Era evidente che si era spezzato qualcosa, ed io seppur felice di riaverla tra le mie braccia, nello stesso tempo mi sentivo ferito e un po’ coglione. Un giorno mi disse che le cose non erano più come prima, che molto era cambiato e che la pressione che le facevano i suoi genitori per il fatto che continuava a frequentarmi si era fatta insostenibile. Così mi lasciò definitivamente, e devo dire che non stetti poi così male, poiché anche in me l’amore per lei era un pò calato. Le dissi che capivo la situazione e che era meglio per tutti così. Rimasi solamente dispiaciuto per due cose:

1- Era stata lei a lasciarmi e non il contrario .

2 – Durante la nostra storia non avevamo avuto rapporti completi, di conseguenza non potei far l’amore con la ragazza che amavo.

La sera stessa andai per la prima volta con una prostituta.

La prossima settimana il capitolo 9

“Vita da operaio”